Altra giornata in rosso per il titolo Credit Suisse, la tredicesima consecutiva. Lo scorso 15 novembre un’azione della banca valeva 4 franchi (4,06 euro), oggi 2,7. Il calo da inizio anno è del 68,6%. Certo, è in corso l’aumento di capitale nella parte con diritti per gli azionisti ordinari che punta a raccogliere 2,2 miliardi di franchi dei 4 complessivi della ricapitalizzazione. Operazione che mette pressione sul titolo. Gli azionisti hanno ricevuto diritti di opzione (due per ogni 7 azioni possedute) che attribuiscono loro la possibilità di comprare i nuovi titoli ad un prezzo di 2,5 franchi. Un azionista razionale parteciperà all’aumento di capitale solo se il prezzo di sottoscrizione risulta inferiore al prezzo di mercato dell’azione nel giorno in cui si conclude il periodo in cui è possibile esercitare il diritto di opzione (8 dicembre prossimo). Si vede quindi come il valore del titolo stia pericolosamente scivolando verso la soglia sotto cui sottoscrivere l’aumento non conviene. A quel punto dovrebbe intervenire il consorzio di garanzia composto da un pool di banche. Il timore di fondo è che la ricapitalizzazione non sia sufficiente per rimettere la banca in carreggiata e finanziare il piano di ristrutturazione imperniato sulla rifocalizzazione della banca sulla gestione dei grandi patrimoni, con una progressiva uscita dalle attività più rischiose. Il piano prevede anche il licenziamento di 9mila dei 46mila dipendenti del gruppo. La banca ha perannunciato che l’ultimo trimestre dell’anno si chiuderà con perdite per 1,5 miliardi.

Oggi il presidente del gruppo Axel Lehmann ha voluto rassicurare sul fatto che l’emorragia di capitali si sta fermando, parzialmente si è invertita. Lehmann ha spiegato come ad inizio ottobre la banca sia stata colta di sorpresa da un’ondata di ritiri di capitali, soprattutto dall’Asia, innescata da voci su gravi difficoltà finanziaria del gruppo, amplificate dai social media. In poche settimane clienti allarmati hanno prelevato circa il 10% dei fondi della banca, 67 miliardi di franchi, spingendo alcuni indicatori pericolosamente vicini a limiti regolamentari. Non pare tuttavia che le parole del presidente abbiano cambiato gli umori degli investitori. Il titolo ha chiuso la seduta a meno 4,3%, poco sopra i minimi di giornata. Il fatto che si senta il bisogno di rassicurare può essere del resto interpretato in vario modo. La banca d’affari statunitense Jp Morgan ha diffuso una nota in cui stima che a fine anno il denaro ritirato dalla banca svizzera raggiungerà i 107 miliardi di franchi, oltre 20 miliardi in più rispetto alla situazione comunicata all’11 novembre scorso. Gli analisti spiegano quindi come le speculazioni su operazioni dei fusione e acquisizione che interessano il gruppo elvetico, siano destinate ad intensificarsi e potrebbero sfociare in operazioni straordinarie. Il costo dei credit default swap, prodotti finanziari che permettono agli obbligazionisti di assicurarsi contro il fallimento di un emittente, ma che vengono spesso utilizzati a fini prettamente speculativi, continua a salire e ha ormai raggiunto i 450 punti, al di sopra dei 350 toccati a inizio ottobre, nel pieno della “tempesta social” che ha investito il gruppo. .

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