In attesa di una tassa minima globale che arranca, i grandi gruppi del web continuano a beneficiare della tassazione agevolata di Paesi come Singapore, Irlanda e Isole Cayman. Il risultato? Oltre 36 miliardi di imposte non pagate tra il 2019 e il 2021. Il calcolo è dell’Area Studi di Mediobanca, secondo cui, nel 2021 circa il 30% dell’utile ante imposte è tassato in paesi a fiscalità agevolata, con un risparmio di 12,4 miliardi lo scorso anno e un’aliquota media effettiva pari al 15,4%, inferiore a quella teorica del 21,9% calcolata sui principali Paesi in cui operano. I maggiori beneficiari sono Tencent, Microsoft Alphabet (Google) e Meta (Facebook).
In Italia, ricorda il rapporto Software & web companies della banca d’affari, le websoft hanno diverse società controllate, localizzate soprattutto a Milano e provincia, con un fatturato aggregato che nel 2021 ha raggiunto gli 8,3 miliardi. Gli introiti per il fisco italiano? “Quasi 150 milioni di euro per un tax rate effettivo (il peso delle tasse si calcola ovviamente sugli utili ndr) del 25,1%. Considerando anche l’accantonamento per il pagamento della Digital service tax, il tax rate salirebbe al 33,5%”. Nel dettaglio, Amazon che è al primo posto per fatturato con 2,8 miliardi e impiega circa 11.900 lavoratori ha pagato 35,5 milioni. Ibm, 1,9 miliardi di fatturato e 5800 lavoratori, ha versato 44,5 milioni. Microsoft, con 975 milioni di fatturato e 930 dipendenti, ha girato al fisco solo 22,6 milioni. Google che in Italia ha fatturato 728 milioni ha pagato all’erario 8,1 milioni.
L’introduzione della Global minimum tax per le multinazionali – su cui l‘Ocse ha trovato un compromesso al ribasso e che dovrebbe entrare in vigore nel 2023, ma la cui entrata in vigore è frenata in Europa dal veto dell’Ungheria – comporterebbe, ricorda Mediobanca, “una redistribuzione della base imponibile fra i paesi in cui effettivamente generano i propri profitti”. Inoltre i Paesi che ospitano il quartier generale potranno imporre una tassa minima di “almeno il 15%”. Un cambiamento marginale, si noterà, rispetto alla situazione attuale. “L’aspetto qualificante”, commenta Mediobanca, “consiste più nella redistribuzione della base imponibile tra Paesi che nell’effettivo aumento dell’imposizione”.
I 25 maggiori gruppi del web e del software, dopo aver macinato utili e toccato lo scorso anno i 1.584 miliardi di ricavi (pari al 90% del Pil italiano), cominciano a subire l’impatto delle tensioni internazionali. Nei primi nove mesi del 2022 infatti sono cresciuti solo i ricavi (+9,5%), mentre gli utili sono crollati del 42%, con una contrazione della redditività e della liquidità. In Borsa hanno subito una caduta del 29,2% lo scorso novembre, dopo il picco raggiunto a dicembre 2021 (8.628 miliardi di euro). Oggi la capitalizzazione delle 25 maggiori WebSoft si ferma al 6,6% del valore complessivo delle borse mondiali, a fronte dell’8,3% dell’anno scorso. Nel confronto con l’Italia, però, si confermano dei pesi massimi, con un valore pari a dieci volte Piazza Affari.