“La priorità è la lotta contro l’evasione fiscale” – ha detto il Presidente. Purtroppo, non è così. La lotta contro l’evasione fiscale è importante, ma il primato dovrebbe spettare all’equità fiscale, alla giustizia contributiva e se le leggi – al contrario di quanto prescrivono gli articoli 1 e 3 della Costituzione Italiana – non lo fanno bisogna intervenire. E così non va. Il limite all’obbligatorietà degli scambi elettronici portato a 60 euro non basta, poi c’è il resto.
Così non c’è progresso. La politica italiana nel campo fiscale, nel migliore dei casi, assomiglia sempre di più a qualcuno degli indimenticabili spettacoli del Mago Silvan: il regno dell’illusione e della distrazione dello sguardo degli spettatori, a vantaggio del trucco che avviene sotto i loro occhi. Come le assistenti che dopo essere state rinchiuse vengono fatte a solo apparentemente a pezzi, allo stesso modo la giustizia fiscale non c’è, anche se si cerca di convincere i cittadini che qualcosa di fenomenale sta accadendo e la lotta all’evasione resta una fantasia per nulla erotica e la giustizia fiscale un sogno ancor più lontano.
Dobbiamo essere onesti. Volesse il cielo che fosse così semplice raggiungere l’equità fiscale in Italia, se bastasse applicare puntualmente tutte le vigenti leggi in materia di tasse e tributi. Magari fosse sufficiente obbligare tutti gli italiani ai pagamenti elettronici per risolvere il problema dell’evasione fiscale.
Detto che il gettito fiscale proveniente dai lavoratori autonomi è generalmente inferiore di circa il 60% a quanto atteso; aggiunto che esso rappresenta circa un terzo dell’evasione fiscale totale, voglio ricordare che – come sostiene la Cgia di Mestre – la fetta più considerevole di evasione fiscale nel nostro paese proviene dalle grandi imprese, che evadono il fisco in misura di oltre 15 volte il totale delle Pmi (molto difficile ottenere valori attendibili al centesimo su questi casi, meglio stare sul “circa”).
Va poi aggiunto che una quota pari ad almeno la metà dell’evasione fiscale proveniente da commercianti, artigiani e partite Iva varie è per così dire fisiologica – cioè di pura sopravvivenza – in grado di portare alla chiusura delle attività, qualora fossero pagate puntualmente tutte le imposte. E in questo caso l’applicazione delle regole fiscali disattende il principio di equa contribuzione.
L’abbiamo visto nei fatti durante il Covid, quando il governo dovette intervenire con vari bonus cash, per evitare il fallimento immediato di molte attività, di colpo e inspiegabilmente, prive della minima riserva di liquidità e di ricavi. Va da sé, pertanto, che il problema – anche per fare in modo che tutti paghino le tasse – non è solo di applicazione delle leggi, ma di riforma della fiscalità, in modo che il fisco sia più equo, finalizzato ai bisogni dei Cittadini e rispettoso di tutte le iniziative economiche siano esse grandi, piccole o addirittura individuali.
Tutti hanno diritto di essere trattati dal fisco allo stesso modo, secondo le proprie possibilità, anzi a dire il vero la funzione delle tasse, in uno stato sociale quale è il nostro, dovrebbe distinguere tra lavori virtuosi socialmente, e non. I pagamenti elettronici possono essere un contributo importante a una maggiore equità e trasparenza, ma non sono l’Ultima Thule.
Certamente non può essere che si continui a mantenere leggi che di fatto legittimano l’evasione fiscale in particolare dei soggetti più grossi. Si è detto e scritto ad abundatiam che stiamo distruggendo i ceti medi, a vantaggio dei grandi ricchi, è questo che vogliamo, una lotta tra poveri per ingrossare le fila dei signori? Quanti piccoli commercianti dobbiamo sacrificare per riportare il livello di contribuzione fiscale che grandi imprese e multinazionali varie non sostengono (e non pagano nemmeno una volta pescate con le mani nella marmellata) portando le sedi fiscali all’estero o sottraendosi in vario modo, con artifici legali e non al pagamento di imposte e tasse? Quanto ci vuole perché anche in Italia la contribuzione fiscale (e i redditi relativi) tornino a premiare il lavoro?
Di recente, la maggiore azienda italiana, ma non solo, di pagamenti elettronici, Nexi, ha chiuso una trimestrale (che avrebbe potuto essere anche più brillante) con profitti netti per 712,6 milioni. Sono certo che il contributo fiscale proveniente da questa e da altre società finanziarie è sempre stato e sarà conforme alle leggi, ma sono altrettanto certi che non avremo nessuna equità fiscale e quindi nessuna giustizia in un paese dove le leggi consentono a chi semplicemente trasferisce il denaro prodotto da altri, di accumulare profitti così elevati, palesemente superiori a chi produce, lavora e fatica sul serio.
Il monopolio o l’oligopolio apparente (perché non effettivamente concorrenziale) di banche, finanziarie et similia, oltre un certo livello che abbiamo ampiamente superato, è sotto gli occhi di tutti e non aiuta lo sviluppo del Paese. Ben venga l’abolizione dei privilegi di tassisti, farmacisti notai etc., ben venga la diffusione a tappeto dei pagamenti elettronici, per mettere finalmente tutti i contribuenti davanti alle proprie responsabilità, ma tutto ciò non basta. Così è solo un giochetto di illusionismo. Da subito è necessario pensare un po’ di più alla giustizia fiscale e tanto per iniziare introdurre un po’ più di concorrenza e trasparenza sui mercati finanziari, bravissimi nel fare profitti, ma un po’ meno attenti ai problemi dei cittadini.