Dal 56° Rapporto della storica fondazione di ricerca socio-economica emerge il ritratto di una popolazione spaventata dagli eventi globali che possono compromettere presente e futuro. Ma anche sempre meno disposta a seguire le sirene degli influencer e del lusso, anzi indignata dallo sfoggio di denaro e dalle diseguaglianze economiche ostentate: per l'87,8% degli intervistati sono insopportabili le differenze eccessive tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei dirigenti, per l’86,6% le buonuscite milionarie dei manager, per l’84,1% le tasse troppo esigue pagate dai giganti del web
Malinconici, spaventati dagli eventi globali che possono compromettere presente e futuro da un momento all’altro. Ma anche sempre meno disposti a seguire le sirene degli influencer e del lusso, anzi indignati dallo sfoggio di denaro e dalle diseguaglianze economiche ostentate. È il ritratto degli italiani che emerge dal 56° Rapporto del Censis (la storica fondazione di ricerca socio-economica) che fotografa un Paese “entrato nel ciclo del post-populismo“. In cui crescono paure nuove suscitate dal conflitto in Ucraina: ormai l’84,5% degli italiani, in particolare i giovani e i laureati, ritiene che anche eventi geograficamente lontani possano cambiare le loro vite; il 61% teme che possa scoppiare la Terza guerra mondiale, il 59% la bomba atomica, il 58% che l’Italia stessa entri in guerra.
“Forbici economiche socialmente insopportabili” – Il report arriva a valle di una drammatica sequenza di avvenimenti di portata mondiale: dopo il Covid, l’inflazione in crescita e la crisi dell’energia. Un carico che va a sommarsi alle vulnerabilità preesistenti e che determina negli italiani “una rinnovata domanda di prospettive certe di benessere” ma anche “istanze di equità non più liquidabili come aspettative irrealistiche fomentate da qualche leader politico demagogico”. D’altronde il 92,7% degli italiani è ben convinto che la corsa dei prezzi durerà a lungo, il 76,4% pensa che le entrate familiari nel prossimo anno non aumenteranno, quasi il 70% pensa anzi che il proprio tenore di vita peggiorerà. Diventano quindi “socialmente insopportabili” le forbici economiche: cresce “la ripulsa verso privilegi oggi ritenuti odiosi, con effetti sideralmente divisivi: per l’87,8% sono insopportabili le differenze eccessive tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei dirigenti, per l’86,6% le buonuscite milionarie dei manager, per l’84,1% le tasse troppo esigue pagate dai giganti del web, per l’81,5% i facili guadagni degli influencer, per il 78,7% gli sprechi per le feste delle celebrities, per il 73,5% l’uso dei jet privati”.
La tentazione della “passività” – A questa rabbia però non si accompagnano forti contestazioni sociali: mancano “intense manifestazioni collettive come scioperi, manifestazioni e cortei”, e a comprovarlo c’è anche il dato record dell’astensione elettorale. C’è piuttosto un ripiegamento in sè, che si estrinseca in una filosofia molto semplice: “Lasciatemi vivere in pace nei miei attuali confini soggettivi”. Una tentazione alla “passività” riscontrata nel 54,1% degli italiani. Ben quattro su cinque “non hanno voglia di fare sacrifici per cambiare“: l’83,2% non vuole più sacrificarsi per seguire gli influencer (ancora loro), l’81,5% per vestire alla moda, il 70,5% per acquistare prodotti di prestigio, ed è attorno al 60% la percentuale di chi non smania per sentirsi più giovane o attraente. Si frena anche al lavoro: al 36,4% non interessa più sacrificarsi per far carriera o guadagnare di più.
Un Paese più vecchio e più povero – Nel Paese è rilevata anche una tendenza all’invecchiamento e all’impoverimento: nel 2021 le famiglie in povertà assoluta erano 1,9 milioni, pari al 7,5% del totale, aumentate di 1,1 punti rispetto al 2019. Gli over 65 sono il 23,8% della popolazione, +60% rispetto a trent’anni fa, e tra vent’anni si calcola che saranno il 33,7%. Il trend si riflette sulla scuola, ma anche sulla sanità. Si calcola che tra vent’anni tra i banchi potrebbero sedere 1,7 milioni di giovani in meno, con uno “tsunami demografico” che investirà in primo luogo la primaria e la secondaria di primo grado: i 6-13enni, già nel 2032, potrebbero essere quasi 900mila in meno rispetto a oggi. E anche le immatricolazioni all’Università sono date in contrazione forte tra il 2032 e il 2042. Intanto i Neet – chi non studia né lavora – sono al top d’Europa: il 23,1% dei 15-29enni, che sale al Sud al 32,2%: la media Ue è del 32,2%. Invecchia anche il personale sanitario: l’età media dei 103.092 medici del Sistema sanitario nazionale è di 51,3 anni, tra gli infermieri è di 47,3 anni. Si stima che nel 2022-2027 i pensionamenti tra i medici saranno 29.331 e 21.050 tra gli infermieri. Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti è passato da 19,1 a 17,3 per 10mila abitanti, mentre quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 per 10mila.
I giovani: pochi, qualificati e sottopagati – Il rapporto sottolinea che i giovani in Italia sono ogni anno di meno. E sebbene siano i più qualificati di sempre (il 28,3% ha una laurea) registrano un tasso di occupazione molto inferiore ai coetanei europei, e con un reddito assai più basso. Attualmente gli under 14 sono 7,5 milioni di persone (il 12,7% della popolazione), mentre i 15-34enni sono 12,1 milioni (il 20,5% del totale) con un calo, rispetto a vent’anni fa, rispettivamente di 620.470 e 3,1 milioni. E nell’arco di vent’anni ci sarà una riduzione ulteriore di 1,1 milioni di infra14enni e di 1,7 milioni di 15-34enni. Il problema è anche occupazionale: nel 2021 in Italia il tasso di occupazione dei lavoratori 15-34enni è pari al 41% rispetto a una media Ue del 56,5%. Il reddito medio lordo a parità di potere d’acquisto di un giovane di 18-24 anni in Italia (17.810 euro) è inferiore di 836 euro rispetto a quello di un coetaneo in Francia e di circa 6.600 euro rispetto a quello di un giovane tedesco. Ampia è la distanza anche dal reddito di un giovane in Belgio (-5.232 euro) e in Austria (-7.800 euro circa).