Il caso Soumahoro tiene banco da giorni. Il governo alza il limite del contante e toglie l’obbligo dei pos, quasi fossero inutili lacci che frenano la ripresa. Ma l’illegalità dilaga quasi indisturbata, come dimostrano i dati di un convegno organizzato dall’associazione dei Funzionari Ispettivi Pubblici, in via delle ortiche a Milano. Anche qui si parla di lavoro, ripresa, di legalità e cooperative sospette. “Con appena 66 ispettori in tutta la Lombardia, Milano esclusa, abbiamo effettuato 870 controlli, scovato 13.242 lavoratori in nero e un accertamento per oltre 92,355.179 milioni di euro”, scandisce il direttore regionale dell’Inps Francesco Ricci. Applausi in sala. Il presidente dell’Aniv annuncia poi l’intervento del procuratore Paolo Storari “visto che lavoriamo tanto con voi”. Ma l’altro replica secco: “non è vero che lavoro spesso con voi, no”, e in sala cala il gelo. Emerge allora il tema di un vuoto tra i soggetti istituzionali coinvolti nel presidio di legalità, procure, Inps e ispettorati, un vuoto che neppure i recenti protocolli di collaborazione e scambio d’informazioni riescono a colmare. Storari lo testimonia senza riserve.
“Vedo qui un grande bacino di competenze, una mole di dati che però vengono buttati via, che non usiamo. Ho l’impressione che l’approccio fino a oggi sia stato profondamente sbagliato e frutto di una logica burocratica. Ho sentito qui di un accertato da 50 milioni, ma bisogna vedere quanto si porta a casa. Un primo tema è l’efficienza. Vi chiedo, quando vi rapportate con multinazionali che si avvalgono di centinaia di cooperative spurie, perché vi concentrate su quelle che tanto non si porta a casa nulla? Potete risalire la corrente come salmoni e arrivare a chi sta in cima, ma se non sapete quello che vi serve per un’indagine non andate da nessuna parte”. Storari fa l’esempio delle indebite compensazioni, facili da accertare anche da banche dati. “Ma poi bisogna fare l’accesso a sorpresa e se c’è il caporalato bisogna verificare se i soci o finti soci delle cooperative realizzano il 603 bis, che prevede anche la tematica della sicurezza sul lavoro”. Follow the money, dice il pm. “Vi ponente mai il problema di dove finiscano questi soldi? Di solito c’è il caporale, certo, ma dopo dove vanno?”.
Storari propone allora di invertire l’approccio investigativo. “Mi disinteresso della cooperativa da cui non porto nulla ma inizio a pensare ai committenti, perché sono loro che portano a casa i soldi, la grande impresa multinazionale. Vi chiedo allora, la Dhl che fa miliardi con questa roba, l’avete mai toccata? Se non si sa cosa cercare non lo si trova”. L’approccio inverso: la finta cooperativa, il caso di caporalato, diventino segnali-spia per arrivare ai grandi imprenditori e amministratori di società enormi che stanno a monte del sistema. Un’ottica investigativa meno schiacciata sul dettaglio, e più improntata al risultato finale. “L’art. 34 del testo unico antimafia è anche uno straordinario strumento di controllo delle imprese. Se trovate un soggetto che si avvale di queste cooperative, i loro gestori possono essere indagati per riciclaggio o 603 bis e allora è possibile rivolgersi al tribunale e dire all’amministratore della multinazionale “fatti da parte”, e sapete cosa vuol dire a livello di reputazione per una grande impresa? Si mettono subito a posto”. Ecco, chiede il pm, “avete mai sentito parlare di queste cose?” La tematica delle false cooperative ha risvolti tributari fondamentali, ma la cosa importante è che le misure non si fermino alla cooperativa e al suo prestanome ma che faccia scattare la responsabilità giuridica dell’impresa ai sensi della 231/2001. Avete mai fatto una notizia di reato per questa roba? No. E allora non voglio essere eccessivamente castigante ma lasciatemelo dire: avete presentato dei bellissimi dati, ma vanno usati bene sennò è come dare perle ai porci”.
Tocca al direttore regionale Inps replicare. “Non sono “perle ai porci” – risponde Francesco Ricci – sono il perno dello stato sociale su cui va avanti il Paese. Sono la sintesi del lavoro svolto da quasi 30mila persone che lo tengono in piedi. Sono prestazioni ai cittadini. Certo, noi svolgiamo attività sui primi obbligati che spesso sono cooperative di sfessati, ma abbiamo anche lavorato per arrivare ai grandi committenti ed essere più incisivi negli incassi. Certo, le competenze e gli strumenti non sono sufficienti, dobbiamo investire in formazione e sensibilità degli ispettori per ricostruire fenomeni complessi. Ci sono tavoli e protocolli con le procure, ma i tempi del sistema penale non collimano con quelli amministrativi. Metto in tasca questo invito del procuratore come stimolo a rafforzare il dialogo tra istituto, ispettori e procure u nell’interesse del sistema che è legalità”. Chiusa parentesi.
“E’ inutile esercitare l’azione penale solo nei confronti delle teste di legno”, rincara il coordinatore del Dipartimento della Procura che si occupa di crisi d’impresa, Roberto Fontana. Il suo intervento si sposa e completa la “requisitoria” di Storari. Fontana spiega che il fenomeno “ha molte facce, spesso intrecciate”. La sua prospettiva guarda i fenomeni criminali partendo dal dissesto e suggerisce tre categorie che occorre avere presenti per non confondere fenomeni molto diversi tra loro. “Un primo fenomeno è quello delle imprese che operano in modo fisiologico ma quando vanno in difficoltà scontano il problema della sottocapitalizzazione per cui vengono a trovarsi rapidamente in una condizione di crisi. Il legislatore ha messo a disposizione molti strumenti per uscire dalla crisi. Vi e’ pero ancora molta resistenza a farvi ricorso tempestivamente, per cui il più delle volte chi gestisce l’impresa preferisce procrastinare sperando in qualche evento favorevole, finendo nella maggior parte parte dei casi in una situazione di grave dissesto. Questo comporta molto spesso condotte penalmente rilevanti e in particolare manipolazione dei bilanci per nascondere la perdita del capitale e l’omesso pagamento di IVA e contributi come forma di autofinanziamento. Si e’ ovviamente in presenza di una patologia, ma si tratta del fenomeno meno grave. La risposta principale non è quella penale ma quella volta a convincere gli imprenditori a utilizzare rapidamente gli strumenti di risoluzione della crisi premiando condotte riparative. Ad esempio, nel caso del mancato pagamento dei contributi previdenziali è prevista la sospensione del procedimento penale per consentire il pagamento”.
Il secondo fenomeno è quello di chi non si limita a procrastinare l’emersione dell’insolvenza ma svuota il patrimonio della società, separando i debiti dalle attività in danno dei creditori, soprattutto fisco ed enti previdenziali . “In questi casi l’azienda e’ normalmente trasferita di fatto ad una nuova società, lasciando nella vecchia solo i debiti, licenziando e riassumendo i dipendenti e sviando tutti i clienti. E’ un livello molto più grave della patologia perché non ci si limita più a far passare il tempo ma si privano i creditori di ogni possibilità di soddisfacimento. La connotazione fraudolenta è più forte. Ma il fenomeno prevalente e più grave è oggi un altro, quello delle imprese “organicamente illegali”, vale a dire della costituzione di società “usa e getta” a cui imputare formalmente attività di servizi ad alto impiego di manodopera basate sul non pagamento di tutti i costi relativi ad Erario ed enti previdenziali. Questo, insieme alle società costituite per le frodi carosello, sta diventando il vero baricentro del diritto penale fallimentare”. Tanto, sostiene, che addirittura il 40-50% dei fallimenti appartengono ormai a questa tipologia, e in termini di passivo la quota è ancora maggiore. La dimensione? I dati allegati alla relazione del Codice delle crisi anche se risalgono all’inizio del 2019 già evidenziavano l’impatto sistemico di questo fenomeno: i crediti nel fallimenti aperti ammontano a 105 miliardi di euro, di cui 80 all’Erario e il resto agli enti previdenziali. Tra questi la grande maggioranza sono verso società di questo terzo tipo. “Se pensiamo che oggi si parla di una finanziaria da 15-20 miliardi capite bene di cosa stiamo parlando”. Il pm però indica anche dove direzionare lo sguardo nelle indagini.
“Il problema sono i committenti , spesso grandi imprese nazionali e internazionali sopratutto in alcuni settori a cominciare dalla logistica, ma non solo , che sollecitano questo fenomeno andando a cercare sul mercato prezzi sottocosto. L’impatto è devastante non solo per la finanza pubblica ma anzitutto per il sistema della concorrenza perché le imprese illegali monopolizzano il mercato espellendo chi non si adegua. Sono tutte società formalmente intestate e amministrate da prestanome che sono messi lì per catalizzare su di se il rischio delle sanzioni penali. Quando si apre il procedimento penale quella società e’ già stata abbandonata e spesso cancellata dal registro delle imprese perché si sta già da tempo operando con altra società. Cambiano le società titolari ma dipendenti e clienti sono sempre gli stessi. L’azienda e’ sempre la stessa. A tirare le fila di questi sistemi di società “usa e getta” sempre più spesso sono soggetti inseriti o collegati a contesti di criminalità organizzata. In termini di rapporto tra risultati economici e rischi penali questo tipo di attività e’ più redditizia rispetto ad attività delittuose più tradizionali, come quella del traffico di stupefacenti”. Il pm cita le classiche frodi carosello per sottrarre l’Iva, ma anche e sempre più la fornitura di servizi ad alto impiego di manodopera nella forma dell’appalto e del subappalto nei quali intermediazione illecita di manodopera , condizioni di lavoro di sfruttamento, sistematica evasione di imposte e contributi previdenziali , utilizzando per false compensazioni società cartiere collegate, “sono diverse facce dello stesso fenomeno”. Soluzioni?
Per le imprese di prima categoria, al di là dell’accertamento delle eventuali responsabilità penali, l’obiettivo principale è aiutare queste imprese a superare le difficoltà anche per salvaguardare la continuità aziendale laddove possibile. Con le imprese del secondo tipo, quelle “organicamente illegali”, vanno intercettate ed espulse dal mercato prima possibile. Sono delle “bombe” che generano dissesti e sottraggono finanza pubblica. E quindi Erario, Inps e Procura devono partire in quarta con le richieste di liquidazione giudiziale subito, senza perder tempo, senza pietà. Perché sono appunto imprese strutturalmente illegali. Se questi soggetti poi cercano di strumentalizzare gli strumenti alternativi messi a disposizione per “mimetizzarsi” e guadagnare tempo, vanno individuate e non gli va consentito l‘abuso di quegli strumenti come copertura delle responsabilità. Perché l’azione penale sia efficace non deve avere un approccio parcellare sulla singola società, perché non è altro che la punta d’iceberg di un sistema più complesso. Quando chiedo il fallimento di quella società devo già pensare ad estendere le indagini sulle società dove son finiti i dipendenti, che stanno già operando in quel momento. Ed è li che devo andarli ad aggredire, perché attraverso la “transumanza dei dipendenti” capisco qual’è il nuovo centro di imputazione formale. Solo alla fine di tutto questo posso individuare i “registi”.