Il caso Soumahoro tiene banco da giorni. Il governo alza il limite del contante e toglie l’obbligo dei pos, quasi fossero inutili lacci che frenano la ripresa. Ma l’illegalità dilaga quasi indisturbata, come dimostrano i dati di un convegno organizzato dall’associazione dei Funzionari Ispettivi Pubblici, in via delle ortiche a Milano. Anche qui si parla di lavoro, ripresa, di legalità e cooperative sospette. “Con appena 66 ispettori in tutta la Lombardia, Milano esclusa, abbiamo effettuato 870 controlli, scovato 13.242 lavoratori in nero e un accertamento per oltre 92,355.179 milioni di euro”, scandisce il direttore regionale dell’Inps Francesco Ricci. Applausi in sala. Il presidente dell’Aniv annuncia poi l’intervento del procuratore Paolo Storari “visto che lavoriamo tanto con voi”. Ma l’altro replica secco: “non è vero che lavoro spesso con voi, no”, e in sala cala il gelo. Emerge allora il tema di un vuoto tra i soggetti istituzionali coinvolti nel presidio di legalità, procure, Inps e ispettorati, un vuoto che neppure i recenti protocolli di collaborazione e scambio d’informazioni riescono a colmare. Storari lo testimonia senza riserve.
“Vedo qui un grande bacino di competenze, una mole di dati che però vengono buttati via, che non usiamo. Ho l’impressione che l’approccio fino a oggi sia stato profondamente sbagliato e frutto di una logica burocratica. Ho sentito qui di un accertato da 50 milioni, ma bisogna vedere quanto si porta a casa. Un primo tema è l’efficienza. Vi chiedo, quando vi rapportate con multinazionali che si avvalgono di centinaia di cooperative spurie, perché vi concentrate su quelle che tanto non si porta a casa nulla? Potete risalire la corrente come salmoni e arrivare a chi sta in cima, ma se non sapete quello che vi serve per un’indagine non andate da nessuna parte”. Storari fa l’esempio delle indebite compensazioni, facili da accertare anche da banche dati. “Ma poi bisogna fare l’accesso a sorpresa e se c’è il caporalato bisogna verificare se i soci o finti soci delle cooperative realizzano il 603 bis, che prevede anche la tematica della sicurezza sul lavoro”. Follow the money, dice il pm. “Vi ponente mai il problema di dove finiscano questi soldi? Di solito c’è il caporale, certo, ma dopo dove vanno?”.
Storari propone allora di invertire l’approccio investigativo. “Mi disinteresso della cooperativa da cui non porto nulla ma inizio a pensare ai committenti, perché sono loro che portano a casa i soldi, la grande impresa multinazionale. Vi chiedo allora, la Dhl che fa miliardi con questa roba, l’avete mai toccata? Se non si sa cosa cercare non lo si trova”. L’approccio inverso: la finta cooperativa, il caso di caporalato, diventino segnali-spia per arrivare ai grandi imprenditori e amministratori di società enormi che stanno a monte del sistema. Un’ottica investigativa meno schiacciata sul dettaglio, e più improntata al risultato finale. “L’art. 34 del testo unico antimafia è anche uno straordinario strumento di controllo delle imprese. Se trovate un soggetto che si avvale di queste cooperative, i loro gestori possono essere indagati per riciclaggio o 603 bis e allora è possibile rivolgersi al tribunale e dire all’amministratore della multinazionale “fatti da parte”, e sapete cosa vuol dire a livello di reputazione per una grande impresa? Si mettono subito a posto”. Ecco, chiede il pm, “avete mai sentito parlare di queste cose?” La tematica delle false cooperative ha risvolti tributari fondamentali, ma la cosa importante è che le misure non si fermino alla cooperativa e al suo prestanome ma che faccia scattare la responsabilità giuridica dell’impresa ai sensi della 231/2001. Avete mai fatto una notizia di reato per questa roba? No. E allora non voglio essere eccessivamente castigante ma lasciatemelo dire: avete presentato dei bellissimi dati, ma vanno usati bene sennò è come dare perle ai porci”.
Tocca al direttore regionale Inps replicare. “Non sono “perle ai porci” – risponde Francesco Ricci – sono il perno dello stato sociale su cui va avanti il Paese. Sono la sintesi del lavoro svolto da quasi 30mila persone che lo tengono in piedi. Sono prestazioni ai cittadini. Certo, noi svolgiamo attività sui primi obbligati che spesso sono cooperative di sfessati, ma abbiamo anche lavorato per arrivare ai grandi committenti ed essere più incisivi negli incassi. Certo, le competenze e gli strumenti non sono sufficienti, dobbiamo investire in formazione e sensibilità degli ispettori per ricostruire fenomeni complessi. Ci sono tavoli e protocolli con le procure, ma i tempi del sistema penale non collimano con quelli amministrativi. Metto in tasca questo invito del procuratore come stimolo a rafforzare il dialogo tra istituto, ispettori e procure u nell’interesse del sistema che è legalità”. Chiusa parentesi.
“E’ inutile esercitare l’azione penale solo nei confronti delle teste di legno”, rincara il coordinatore del Dipartimento della Procura che si occupa di crisi d’impresa, Roberto Fontana. Il suo intervento si sposa e completa la “requisitoria” di Storari. Fontana spiega che il fenomeno “ha molte facce, spesso intrecciate”. La sua prospettiva guarda i fenomeni criminali partendo dal dissesto e suggerisce tre categorie che occorre avere presenti per non confondere fenomeni molto diversi tra loro. “Un primo fenomeno è quello delle imprese che operano in modo fisiologico ma quando vanno in difficoltà scontano il problema della sottocapitalizzazione per cui vengono a trovarsi rapidamente in una condizione di crisi. Il legislatore ha messo a disposizione molti strumenti per uscire dalla crisi. Vi e’ pero ancora molta resistenza a farvi ricorso tempestivamente, per cui il più delle volte chi gestisce l’impresa preferisce procrastinare sperando in qualche evento favorevole, finendo nella maggior parte parte dei casi in una situazione di grave dissesto. Questo comporta molto spesso condotte penalmente rilevanti e in particolare manipolazione dei bilanci per nascondere la perdita del capitale e l’omesso pagamento di IVA e contributi come forma di autofinanziamento. Si e’ ovviamente in presenza di una patologia, ma si tratta del fenomeno meno grave. La risposta principale non è quella penale ma quella volta a convincere gli imprenditori a utilizzare rapidamente gli strumenti di risoluzione della crisi premiando condotte riparative. Ad esempio, nel caso del mancato pagamento dei contributi previdenziali è prevista la sospensione del procedimento penale per consentire il pagamento”.
Il secondo fenomeno è quello di chi non si limita a procrastinare l’emersione dell’insolvenza ma svuota il patrimonio della società, separando i debiti dalle attività in danno dei creditori, soprattutto fisco ed enti previdenziali . “In questi casi l’azienda e’ normalmente trasferita di fatto ad una nuova società, lasciando nella vecchia solo i debiti, licenziando e riassumendo i dipendenti e sviando tutti i clienti. E’ un livello molto più grave della patologia perché non ci si limita più a far passare il tempo ma si privano i creditori di ogni possibilità di soddisfacimento. La connotazione fraudolenta è più forte. Ma il fenomeno prevalente e più grave è oggi un altro, quello delle imprese “organicamente illegali”, vale a dire della costituzione di società “usa e getta” a cui imputare formalmente attività di servizi ad alto impiego di manodopera basate sul non pagamento di tutti i costi relativi ad Erario ed enti previdenziali. Questo, insieme alle società costituite per le frodi carosello, sta diventando il vero baricentro del diritto penale fallimentare”. Tanto, sostiene, che addirittura il 40-50% dei fallimenti appartengono ormai a questa tipologia, e in termini di passivo la quota è ancora maggiore. La dimensione? I dati allegati alla relazione del Codice delle crisi anche se risalgono all’inizio del 2019 già evidenziavano l’impatto sistemico di questo fenomeno: i crediti nel fallimenti aperti ammontano a 105 miliardi di euro, di cui 80 all’Erario e il resto agli enti previdenziali. Tra questi la grande maggioranza sono verso società di questo terzo tipo. “Se pensiamo che oggi si parla di una finanziaria da 15-20 miliardi capite bene di cosa stiamo parlando”. Il pm però indica anche dove direzionare lo sguardo nelle indagini.
“Il problema sono i committenti , spesso grandi imprese nazionali e internazionali sopratutto in alcuni settori a cominciare dalla logistica, ma non solo , che sollecitano questo fenomeno andando a cercare sul mercato prezzi sottocosto. L’impatto è devastante non solo per la finanza pubblica ma anzitutto per il sistema della concorrenza perché le imprese illegali monopolizzano il mercato espellendo chi non si adegua. Sono tutte società formalmente intestate e amministrate da prestanome che sono messi lì per catalizzare su di se il rischio delle sanzioni penali. Quando si apre il procedimento penale quella società e’ già stata abbandonata e spesso cancellata dal registro delle imprese perché si sta già da tempo operando con altra società. Cambiano le società titolari ma dipendenti e clienti sono sempre gli stessi. L’azienda e’ sempre la stessa. A tirare le fila di questi sistemi di società “usa e getta” sempre più spesso sono soggetti inseriti o collegati a contesti di criminalità organizzata. In termini di rapporto tra risultati economici e rischi penali questo tipo di attività e’ più redditizia rispetto ad attività delittuose più tradizionali, come quella del traffico di stupefacenti”. Il pm cita le classiche frodi carosello per sottrarre l’Iva, ma anche e sempre più la fornitura di servizi ad alto impiego di manodopera nella forma dell’appalto e del subappalto nei quali intermediazione illecita di manodopera , condizioni di lavoro di sfruttamento, sistematica evasione di imposte e contributi previdenziali , utilizzando per false compensazioni società cartiere collegate, “sono diverse facce dello stesso fenomeno”. Soluzioni?
Per le imprese di prima categoria, al di là dell’accertamento delle eventuali responsabilità penali, l’obiettivo principale è aiutare queste imprese a superare le difficoltà anche per salvaguardare la continuità aziendale laddove possibile. Con le imprese del secondo tipo, quelle “organicamente illegali”, vanno intercettate ed espulse dal mercato prima possibile. Sono delle “bombe” che generano dissesti e sottraggono finanza pubblica. E quindi Erario, Inps e Procura devono partire in quarta con le richieste di liquidazione giudiziale subito, senza perder tempo, senza pietà. Perché sono appunto imprese strutturalmente illegali. Se questi soggetti poi cercano di strumentalizzare gli strumenti alternativi messi a disposizione per “mimetizzarsi” e guadagnare tempo, vanno individuate e non gli va consentito l‘abuso di quegli strumenti come copertura delle responsabilità. Perché l’azione penale sia efficace non deve avere un approccio parcellare sulla singola società, perché non è altro che la punta d’iceberg di un sistema più complesso. Quando chiedo il fallimento di quella società devo già pensare ad estendere le indagini sulle società dove son finiti i dipendenti, che stanno già operando in quel momento. Ed è li che devo andarli ad aggredire, perché attraverso la “transumanza dei dipendenti” capisco qual’è il nuovo centro di imputazione formale. Solo alla fine di tutto questo posso individuare i “registi”.
Giustizia & Impunità
False coop, frodi fiscali e multinazionali. La caccia ai veri ladri vale almeno 105 miliardi. I pm accusano: ‘Tante indagini, pochi risultati’
Lavoro, ripresa e legalità. Un convegno degli ispettori Inps si trasforma in una radiografia impietosa sulla capacità di punire e recuperare gli arricchimenti illeciti di chi sta a monte dei "servizi ad alto impiego di manodopera". Il pm Storari sprona gli ispettori: "Più redditizio della droga: non fermatevi ai prestanome". Fontana (Sezione fallimenti): "Le imprese organicamente illegali sono il fenomeno emergente”
Il caso Soumahoro tiene banco da giorni. Il governo alza il limite del contante e toglie l’obbligo dei pos, quasi fossero inutili lacci che frenano la ripresa. Ma l’illegalità dilaga quasi indisturbata, come dimostrano i dati di un convegno organizzato dall’associazione dei Funzionari Ispettivi Pubblici, in via delle ortiche a Milano. Anche qui si parla di lavoro, ripresa, di legalità e cooperative sospette. “Con appena 66 ispettori in tutta la Lombardia, Milano esclusa, abbiamo effettuato 870 controlli, scovato 13.242 lavoratori in nero e un accertamento per oltre 92,355.179 milioni di euro”, scandisce il direttore regionale dell’Inps Francesco Ricci. Applausi in sala. Il presidente dell’Aniv annuncia poi l’intervento del procuratore Paolo Storari “visto che lavoriamo tanto con voi”. Ma l’altro replica secco: “non è vero che lavoro spesso con voi, no”, e in sala cala il gelo. Emerge allora il tema di un vuoto tra i soggetti istituzionali coinvolti nel presidio di legalità, procure, Inps e ispettorati, un vuoto che neppure i recenti protocolli di collaborazione e scambio d’informazioni riescono a colmare. Storari lo testimonia senza riserve.
“Vedo qui un grande bacino di competenze, una mole di dati che però vengono buttati via, che non usiamo. Ho l’impressione che l’approccio fino a oggi sia stato profondamente sbagliato e frutto di una logica burocratica. Ho sentito qui di un accertato da 50 milioni, ma bisogna vedere quanto si porta a casa. Un primo tema è l’efficienza. Vi chiedo, quando vi rapportate con multinazionali che si avvalgono di centinaia di cooperative spurie, perché vi concentrate su quelle che tanto non si porta a casa nulla? Potete risalire la corrente come salmoni e arrivare a chi sta in cima, ma se non sapete quello che vi serve per un’indagine non andate da nessuna parte”. Storari fa l’esempio delle indebite compensazioni, facili da accertare anche da banche dati. “Ma poi bisogna fare l’accesso a sorpresa e se c’è il caporalato bisogna verificare se i soci o finti soci delle cooperative realizzano il 603 bis, che prevede anche la tematica della sicurezza sul lavoro”. Follow the money, dice il pm. “Vi ponente mai il problema di dove finiscano questi soldi? Di solito c’è il caporale, certo, ma dopo dove vanno?”.
Storari propone allora di invertire l’approccio investigativo. “Mi disinteresso della cooperativa da cui non porto nulla ma inizio a pensare ai committenti, perché sono loro che portano a casa i soldi, la grande impresa multinazionale. Vi chiedo allora, la Dhl che fa miliardi con questa roba, l’avete mai toccata? Se non si sa cosa cercare non lo si trova”. L’approccio inverso: la finta cooperativa, il caso di caporalato, diventino segnali-spia per arrivare ai grandi imprenditori e amministratori di società enormi che stanno a monte del sistema. Un’ottica investigativa meno schiacciata sul dettaglio, e più improntata al risultato finale. “L’art. 34 del testo unico antimafia è anche uno straordinario strumento di controllo delle imprese. Se trovate un soggetto che si avvale di queste cooperative, i loro gestori possono essere indagati per riciclaggio o 603 bis e allora è possibile rivolgersi al tribunale e dire all’amministratore della multinazionale “fatti da parte”, e sapete cosa vuol dire a livello di reputazione per una grande impresa? Si mettono subito a posto”. Ecco, chiede il pm, “avete mai sentito parlare di queste cose?” La tematica delle false cooperative ha risvolti tributari fondamentali, ma la cosa importante è che le misure non si fermino alla cooperativa e al suo prestanome ma che faccia scattare la responsabilità giuridica dell’impresa ai sensi della 231/2001. Avete mai fatto una notizia di reato per questa roba? No. E allora non voglio essere eccessivamente castigante ma lasciatemelo dire: avete presentato dei bellissimi dati, ma vanno usati bene sennò è come dare perle ai porci”.
Tocca al direttore regionale Inps replicare. “Non sono “perle ai porci” – risponde Francesco Ricci – sono il perno dello stato sociale su cui va avanti il Paese. Sono la sintesi del lavoro svolto da quasi 30mila persone che lo tengono in piedi. Sono prestazioni ai cittadini. Certo, noi svolgiamo attività sui primi obbligati che spesso sono cooperative di sfessati, ma abbiamo anche lavorato per arrivare ai grandi committenti ed essere più incisivi negli incassi. Certo, le competenze e gli strumenti non sono sufficienti, dobbiamo investire in formazione e sensibilità degli ispettori per ricostruire fenomeni complessi. Ci sono tavoli e protocolli con le procure, ma i tempi del sistema penale non collimano con quelli amministrativi. Metto in tasca questo invito del procuratore come stimolo a rafforzare il dialogo tra istituto, ispettori e procure u nell’interesse del sistema che è legalità”. Chiusa parentesi.
“E’ inutile esercitare l’azione penale solo nei confronti delle teste di legno”, rincara il coordinatore del Dipartimento della Procura che si occupa di crisi d’impresa, Roberto Fontana. Il suo intervento si sposa e completa la “requisitoria” di Storari. Fontana spiega che il fenomeno “ha molte facce, spesso intrecciate”. La sua prospettiva guarda i fenomeni criminali partendo dal dissesto e suggerisce tre categorie che occorre avere presenti per non confondere fenomeni molto diversi tra loro. “Un primo fenomeno è quello delle imprese che operano in modo fisiologico ma quando vanno in difficoltà scontano il problema della sottocapitalizzazione per cui vengono a trovarsi rapidamente in una condizione di crisi. Il legislatore ha messo a disposizione molti strumenti per uscire dalla crisi. Vi e’ pero ancora molta resistenza a farvi ricorso tempestivamente, per cui il più delle volte chi gestisce l’impresa preferisce procrastinare sperando in qualche evento favorevole, finendo nella maggior parte parte dei casi in una situazione di grave dissesto. Questo comporta molto spesso condotte penalmente rilevanti e in particolare manipolazione dei bilanci per nascondere la perdita del capitale e l’omesso pagamento di IVA e contributi come forma di autofinanziamento. Si e’ ovviamente in presenza di una patologia, ma si tratta del fenomeno meno grave. La risposta principale non è quella penale ma quella volta a convincere gli imprenditori a utilizzare rapidamente gli strumenti di risoluzione della crisi premiando condotte riparative. Ad esempio, nel caso del mancato pagamento dei contributi previdenziali è prevista la sospensione del procedimento penale per consentire il pagamento”.
Il secondo fenomeno è quello di chi non si limita a procrastinare l’emersione dell’insolvenza ma svuota il patrimonio della società, separando i debiti dalle attività in danno dei creditori, soprattutto fisco ed enti previdenziali . “In questi casi l’azienda e’ normalmente trasferita di fatto ad una nuova società, lasciando nella vecchia solo i debiti, licenziando e riassumendo i dipendenti e sviando tutti i clienti. E’ un livello molto più grave della patologia perché non ci si limita più a far passare il tempo ma si privano i creditori di ogni possibilità di soddisfacimento. La connotazione fraudolenta è più forte. Ma il fenomeno prevalente e più grave è oggi un altro, quello delle imprese “organicamente illegali”, vale a dire della costituzione di società “usa e getta” a cui imputare formalmente attività di servizi ad alto impiego di manodopera basate sul non pagamento di tutti i costi relativi ad Erario ed enti previdenziali. Questo, insieme alle società costituite per le frodi carosello, sta diventando il vero baricentro del diritto penale fallimentare”. Tanto, sostiene, che addirittura il 40-50% dei fallimenti appartengono ormai a questa tipologia, e in termini di passivo la quota è ancora maggiore. La dimensione? I dati allegati alla relazione del Codice delle crisi anche se risalgono all’inizio del 2019 già evidenziavano l’impatto sistemico di questo fenomeno: i crediti nel fallimenti aperti ammontano a 105 miliardi di euro, di cui 80 all’Erario e il resto agli enti previdenziali. Tra questi la grande maggioranza sono verso società di questo terzo tipo. “Se pensiamo che oggi si parla di una finanziaria da 15-20 miliardi capite bene di cosa stiamo parlando”. Il pm però indica anche dove direzionare lo sguardo nelle indagini.
“Il problema sono i committenti , spesso grandi imprese nazionali e internazionali sopratutto in alcuni settori a cominciare dalla logistica, ma non solo , che sollecitano questo fenomeno andando a cercare sul mercato prezzi sottocosto. L’impatto è devastante non solo per la finanza pubblica ma anzitutto per il sistema della concorrenza perché le imprese illegali monopolizzano il mercato espellendo chi non si adegua. Sono tutte società formalmente intestate e amministrate da prestanome che sono messi lì per catalizzare su di se il rischio delle sanzioni penali. Quando si apre il procedimento penale quella società e’ già stata abbandonata e spesso cancellata dal registro delle imprese perché si sta già da tempo operando con altra società. Cambiano le società titolari ma dipendenti e clienti sono sempre gli stessi. L’azienda e’ sempre la stessa. A tirare le fila di questi sistemi di società “usa e getta” sempre più spesso sono soggetti inseriti o collegati a contesti di criminalità organizzata. In termini di rapporto tra risultati economici e rischi penali questo tipo di attività e’ più redditizia rispetto ad attività delittuose più tradizionali, come quella del traffico di stupefacenti”. Il pm cita le classiche frodi carosello per sottrarre l’Iva, ma anche e sempre più la fornitura di servizi ad alto impiego di manodopera nella forma dell’appalto e del subappalto nei quali intermediazione illecita di manodopera , condizioni di lavoro di sfruttamento, sistematica evasione di imposte e contributi previdenziali , utilizzando per false compensazioni società cartiere collegate, “sono diverse facce dello stesso fenomeno”. Soluzioni?
Per le imprese di prima categoria, al di là dell’accertamento delle eventuali responsabilità penali, l’obiettivo principale è aiutare queste imprese a superare le difficoltà anche per salvaguardare la continuità aziendale laddove possibile. Con le imprese del secondo tipo, quelle “organicamente illegali”, vanno intercettate ed espulse dal mercato prima possibile. Sono delle “bombe” che generano dissesti e sottraggono finanza pubblica. E quindi Erario, Inps e Procura devono partire in quarta con le richieste di liquidazione giudiziale subito, senza perder tempo, senza pietà. Perché sono appunto imprese strutturalmente illegali. Se questi soggetti poi cercano di strumentalizzare gli strumenti alternativi messi a disposizione per “mimetizzarsi” e guadagnare tempo, vanno individuate e non gli va consentito l‘abuso di quegli strumenti come copertura delle responsabilità. Perché l’azione penale sia efficace non deve avere un approccio parcellare sulla singola società, perché non è altro che la punta d’iceberg di un sistema più complesso. Quando chiedo il fallimento di quella società devo già pensare ad estendere le indagini sulle società dove son finiti i dipendenti, che stanno già operando in quel momento. Ed è li che devo andarli ad aggredire, perché attraverso la “transumanza dei dipendenti” capisco qual’è il nuovo centro di imputazione formale. Solo alla fine di tutto questo posso individuare i “registi”.
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“Archiviare l’indagine per corruzione su Paolo Romani”: la richiesta dei pm di Milano sull’ex senatore di Forza Italia
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L’attentato a Schlein: le accuse sugli anarchici e il caso di Alfredo Cospito, detenuto al 41 bis
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Cecilia Sala è arrivata in Italia: libera dopo 21 giorni. L’abbraccio con la famiglia. Meloni: “Sei stata forte”. Media Usa: “Trump ha dato il via libera su Abedini”
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“Belloni non è stata all’altezza”: la frase di Tajani sull’ex capo dell’intelligence | Esclusivo
Giustizia & Impunità
Ramy, i pm valutano l’omicidio volontario. I video e le differenze con i verbali. Cucchi: “Via la divisa”. Fdi-Lega in difesa dei carabinieri
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Da due o tre giorni avevamo capito che eravamo quasi arrivati alla conclusione di questa vicenda". Lo ha detto Antonio Tajani a Porta a Porta sulla liberazione di Cecilia Sala.
"Stamattina l'ambasciarice è andata al carcere per la visita consolare e le hanno detto la visita è annullata per una buona notizia, l'ambasciarice ha capito e mi ha telefonato", ha raccontato il ministro degli Esteri spiegando tra l'altro: "Anche la famiglia è stata eccezionale, la mamma e il papà ci hanno dato una mano".
"La Santa Sede non ha dato una mano in maniera operativa ma c'è sempre stato sostegno. Ma non c'è stato un intervento del Vaticano", ha spiegato Tajani.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Fermo restando che la mia posizione di condanna è assoluta per alcuni gesti apologetici, avendo conosciuto quei ragazzi, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, i primi due uccisi da terroristi ai quali non si è mai dato un nome, esprimo il rammarico per il fatto che la Procura della Repubblica di Roma in 45 anni non abbia mai aperto una seria inchiesta sulla strage di Acca Larenzia". Il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri, intervenendo nell’aula del Senato.
"Noi chiediamo la verità su tante vicende italiane. Nei giorni scorsi, si è saputa una possibile verità sull’omicidio di stampo mafioso di Piersanti Mattarella a Palermo. Ma sulla strage di Acca Larenzia le tracce ci sono, perché la mitraglietta Skorpion che uccise Bigonzetti e Ciavatta poi è stata utilizzata anche successivamente dalle Brigate Rosse -ha detto ancora Gasparri-. Quelli che ieri, sbagliando, hanno fatto i saluti romani non inneggiavano alle Brigate Rosse ma ricordavano, con una ritualità che io non condivido, dei militanti di un partito politico, non di terroristi".
"Mentre le Brigate Rosse sono quelle che hanno usato la mitraglietta Skorpion per uccidere Bigonzetti e Ciavatta, poi Lando Conti, ex sindaco di Firenze, e il professor Ruffilli che era un professore impegnato nella Democrazia Cristiana. Quindi quell'arma e chi l’ha usata è transitato nelle Brigate Rosse", ha proseguito l'esponente di FI.
(Adnkronos) - "Basterebbe un’inchiesta per capire quali gruppi della periferia di Roma sud e dell’estrema sinistra hanno fatto questo transito. C’è un libro di un giornalista che si chiama Nicola Rao che ha descritto queste vicende ed è una vergogna che la Procura della Repubblica di Roma non abbia mai fatto un'inchiesta seria. Io l'ho detto pubblicamente a Lo Voi e lo dico a tutti i Procuratori del passato. La magistratura evidentemente non ha voluto la verità su quella vicenda. Protesto, quindi, per le verità mancate di una pagina di storia italiana tragica", ha concluso Gasparri.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Ho voluto partecipare in collegamento all'evento 'Comunità democratica' perché il partito cattolico è anacronistico, c'è bisogno di cominciare a discutere largamente di politica, di programmi, a far partecipare le persone e soprattutto di far diminuire l'astensione". Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo, su La7.
"C'è bisogno di cominciare a discutere, sono due anni che non si fa nel Paese. Queste iniziative sono benedette, penso che Schlein lo sappia", ha aggiunto Prodi proseguendo: "Deciderà Ruffini se entrare in politica o no. E' un uomo di qualità e dipenderà dalla rete che riuscirà a costruire. E' stato talmente bravo a combattere l'evasione fiscale che il Paese gli dovrebbe essere grato".
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Trump non vuole l'Europa coesa. Tratta Paese per Paese ed esercita su ciascuno una pressione particolare. Il problema è che Meloni non può essere portavoce o simbolo dell'Europa unita, Trump non lo permetterà mai". Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo, su La7.
"Trump e Musk ne dicono di tutti i colori e attaccano dall'interno i Paesi intervenendo; è il solito quadro: Trump imprevedibile. Prevedo un grande cambiamento. E' finita la globalizzazione economica e Trump tenta quella politica: l'intervento negli affari interni di tutti i Paesi", ha aggiunto.
"La cosa strana è che mentre oggi c'è stata una reazione dell'Onu sulle sue dichiarazioni, non ne ho viste da parte dell'Unione europea. Il problema è che un'UE divisa come oggi non riesce a formare una volontà politica comune; la presidente della Commissione deve mediare e non vuole rompere l'equilibrio. Non dice niente delle interferenze di Trump in Germania, in Gran Bretagna, in Italia. Il sovranismo si ferma all'obbedienza", ha detto ancora Prodi.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Su Starlink, l'accordo col governo gli darebbe in mano tutti i dati che riguardano il nostro Paese. E' il momento che il governo decida se dare in mano ad altri la propria vita". Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo, su La7.
"Il vantaggio di Musk è che ha a disposizione una tecnologia pronta e potente. Non so se il governo firmerà, ma queste cose vanno fatte con una prudenza enorme e garanzie che non credo il nostro esecutivo sia in grado di ottenere. Così come sembrano essere le cose, io non firmerei. E l'idea che il rappresentante di uno Stato come è Musk si impadronisca di una realtà fondamentale di un altro Paese è un rischio enorme per la democrazia", ha aggiunto Prodi.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Su Belloni, posso dire che è proprio brava, una servitrice dello Stato leale nei confronti del Paese e con capacità personali. Non ho la minima idea se verrà eventualmente coinvolta nelle istituzioni europee. Lei ha detto di no, ma queste cose devono maturare nel tempo. Ha le energie e le capacità, vedremo". Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo, su La7.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Esprimo la mia felicità vera per il ritorno di Sala, la stessa che ho provato quando liberammo il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo in condizioni analoghe". Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo, su La7.
"Queste contrattazioni sono sempre molto complesse. Certamente c'è stato da Trump una specie di permesso o di tacito consenso. A differenza della mia esperienza, noi gioimmo tutti insieme, col ministro degli Esteri, il governo e anche i servizi. C'era anche la dottoressa Belloni, che aveva organizzato la liberazione; oggi è sembrato un evento molto solitario, solo della Meloni", ha aggiunto Prodi.