Ancora una condanna a morte in Iran. La nuova pena capitale è stata inflitta a Fahimeh Karimi, allenatrice di pallavolo e madre di tre figli. È stata arrestata durante una manifestazione a Pakdasht, nella provincia della capitale. Da quanto si apprende dai media locali, ribattuti anche dai social, la Corte rivoluzionaria, il tribunale di Teheran, l’ha condannata alla pena di morte con l’accusa di essere una delle leader delle proteste e di aver sferrato calci a un paramilitare.

La magistratura iraniana continua a reprimere duramente le manifestazioni contro il governo di Teheran, scoppiate oltre due mesi e mezzo fa, dopo la morte di Mahsa Amini, la ragazza 22enne uccisa dalla polizia del Paese perché indossava male il velo. Dal 13 novembre scorso, il regime, recependo un’indicazione del parlamento, ha deciso di iniziare a punire con la condanna capitale le persone che scendono in piazza. I manifestanti sono definiti moharebin dalle autorità, ovvero “gli autori del reato di moharebeh”, la guerra contro Dio. In quanto tali, punibili con la morte.

In oltre quattro decenni, la Repubblica islamica iraniana ha fatto un massiccio uso della pena di morte come strumento di repressione politica o per mantenersi aggrappata al potere. Dopo le oltre 250 persone assassinate in strada mentre manifestavano pacificamente, il rischio è che molte altre vengano uccise dal patibolo.
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