"Con questa sentenza non è emersa la non colpevolezza dei due imputati. Ora valuteremo le motivazioni sul calcolo della prescrizione e le strade sono due: o l’appello in sede penale o l’avvio in sede civile dell’azione per il risarcimento del danno" ha dichiarato l’avvocato Arturo Salerni, legale di alcune delle parti civili dopo il verdetto.
La procura di Roma aveva chiesto l’assoluzione, ma il tribunale di Roma ha dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti dei due ufficiali Leopoldo Manna e Luca Licciardi, imputati nel processo sul naufragio avvenuto a sud di Lampedusa l’11 ottobre del 2013 in cui morirono 268 siriani, tra cui una sessantina di bambini, che scappavano dalla guerra. Manna, all’epoca dei fatti responsabile della sala operativa della Guardia Costiera e l’allora comandante della sala operativa della Squadra navale della Marina, Licciardi, erano accusati di rifiuto d’atti d’ufficio e omicidio colposo. Entrambi gli imputati erano finiti a giudizio dopo che il giudice aveva disposto l’imputazione coatta. “Con questa sentenza non è emersa la non colpevolezza dei due imputati. Ora valuteremo le motivazioni sul calcolo della prescrizione e le strade sono due: o l’appello in sede penale o l’avvio in sede civile dell’azione per il risarcimento del danno” ha dichiarato l’avvocato Arturo Salerni, legale di alcune delle parti civili dopo il verdetto. “Confidavamo in una sentenza di assoluzione, soprattutto dopo l’intervento in aula della procura. E la sentenza di ‘non luogo a procedere’ per intervenuta prescrizione dei reati lascia un po’ di amaro in bocca” ha affermato l’avvocato Luca Ciaglia, difensore di Leopoldo Manna. “La prescrizione, che scatta dopo 7 anni e mezzo, è un fatto incontrovertibile però dobbiamo aspettare di leggere le motivazioni per capire come mai il collegio non abbia voluto assolvere i due imputati, come aveva chiesto la procura” aggiunge Ciaglia.
“Gli imputati vanno assolti perché il fatto non sussiste” aveva sostenuto la procura davanti ai giudici della seconda sezione collegiale sostenendo che non si trattava di un processo “ai responsabili del naufragio”, perché questi sono “i mercanti di uomini che hanno messo 400 persone su un peschereccio e poi gli hanno sparato contro”. Né è un processo “ai tempi e ai modi di come sono state effettuate le modalità di salvataggio poiché – aveva detto il rappresentante dell’accusa – l’intervento è stato effettuato in zona Sar Maltese dalle autorità di quel Paese e il tutto esula dalle responsabilità della giurisdizione italiana”. In passato, infatti, la Procura aveva chiesto l’archiviazione dell’indagine a cui però si era opposto il gip. Nel procedimento risultava iscritta anche la comandante di Nave Libra (l’imbarcazione della Marina Militare che navigava a poche decine di miglia dal barcone dei migranti, ndr), Catia Pellegrino, la cui posizione era stata stralciata.
Le procedure, seppur farraginose all’epoca, sono state attuate. I due ufficiali non si sono disinteressati e hanno compiuto le procedure previste all’epoca – aveva detto il pm Colaiocco in aula nella requisitoria – Non ci sono elementi per affermare la penale responsabilità degli imputati, le procedure sono state rispettate” aveva aggiunto. Oggi però i giudici della seconda sezione penale, dopo una camera di consiglio durata circa quattro ore, hanno dichiarato la prescrizione.
Nel corso della requisitoria i rappresentati dell’accusa hanno affermato che “le procedure, seppur farraginose all’epoca, sono state attuate. I due ufficiali non si sono disinteressati e hanno compiuto le procedure previste all’epoca. Le modalità con cui è avvenuto il naufragio non hanno permesso di stabilire un bilancio ufficiale, c’è un deficit di conoscenza sul numero dei morti, sulle cause e sulla riconducibilità al presunto ritardo. Nave Libra non sarebbe potuta arrivare prima. Non ci sono elementi per affermare la penale responsabilità degli imputati, le procedure sono state rispettate“. L’esame di tutti i testimoni e degli esperi ascoltati dal Tribunale, ha sottolineato ancora Colaiocco, ha fatto “emergere che gli imputati avevano delle procedure regolamentari, poi modificate a seguito degli eventi, da seguir. E i venti minuti impegnati da ogni imputato a verificare con i propri superiori la fattibilita’ dell’accoglimento della richiesta e a renderla operativa, costituiscono tempi fisiologici in ogni operazione di salvataggio”. In base a quanto ricostruito dai magistrati di piazzale Clodio, le autorità maltesi, che in un primo momento si erano assunte l’onere dei soccorsi, avrebbero segnalato agli omologhi italiani, alle 16.22 di quel drammatico giorno, la necessità di un intervento della nave militare Libra in quanto più vicina al luogo in cui si trovavano i migranti siriani che stavano fuggendo dalla guerra civile.
“La nave – come spiegarono i legali dei superstiti e dei familiari – era già quattro ore prima del naufragio del peschereccio a sole 27 miglia marina dal peschereccio in difficoltà e avrebbe potuto intervenire prestando soccorso e salvando molte vite. Il peschereccio si capovolse a circa 50 miglia nautiche a sud di Lampedusa e a 180 migliaia da Malta”. L’inchiesta parte da un esposto presentato dal giornalista Fabrizio Gatti, allora inviato de L’Espresso. I superstiti, che sull’imbarcazione avevano un telefono satellitare, hanno detto di aver “più volte chiamato” la Guardia Costiera ma i soccorsi subirono “molti ritardi anche perché le autorità italiane erano convinte che la competenza fosse maltese”. E lo stesso convincimento venne espresso dalla guardia costiera maltese, ma ovviamente a parti invertite. Un rimpallo che fece perdere tempo prezioso per mettere in salvo le persone a bordo dell’imbarcazione.