Dieci anni or sono ho avuto a colloquio un ragazzo di 26 anni che aveva raccontato ai genitori e agli amici di essere alla fine del percorso di ingegneria, mentre in realtà era rimasto bloccato nei primi anni ripetendo diverse volte gli esami di analisi matematica. Si vergognava tremendamente e aveva timore delle conseguenze sulla sua immagine sociale tra gli amici. Aveva pensato anche al suicidio e, spaventato da questi pensieri, ne aveva parlato col medico di famiglia che me lo aveva inviato.
Ho rivisto recentemente questo ragazzo, che ha poi confessato tutto ai genitori e ora lavora con soddisfazione come programmatore in una società di informatica, perché si è sposato e mi è venuto a trovare prima delle nozze per salutarmi.
Ho seguito poi per parecchi anni la sorella di un ragazzo che purtroppo si è suicidato per insuccessi scolastici.
Racconto queste due storie, con esiti tanto diversi, dopo aver letto le recenti cronache inerenti il suicidio di un ragazzo che aveva mentito sul suo percorso scolastico. Quando si diventa genitori è naturale sognare rispetto ai nostri futuri figli. Tutti vorrebbero figli belli, bravi, di successo e realizzati. Inconsciamente spesso vorremmo che i nostri figli realizzassero quegli obiettivi che noi abbiamo desiderato, ma che non abbiamo raggiunto. A volte, sempre inconsapevolmente, vorremmo che fossero uguali a noi con i nostri stessi desideri di vita.
I figli dovrebbero essere liberi di realizzare se stessi anche divergendo dalle nostre aspettative, però è inevitabile che assorbano le ideologie familiari. Ad esempio, nel primo caso che ho raccontato l’idea familiare molto radicata era che lo studio fosse un elemento essenziale della vita. La madre insegnante e il padre commercialista avevano inculcato ai tre figli questo concetto senza rendersene nemmeno conto. A parole dicevano che i ragazzi “dovevano fare quello che volevano”, ma sotterraneamente tutti in famiglia adoravano la figlia maggiore molto brava negli studi. Ora paradossalmente il mio ex paziente, che non si è laureato, ha molto più successo con la sua società di programmazione che la sorella laureata a pieni voti.
Come genitore mi sono spesso chiesto come sia difficile procedere, perché da un lato è necessario avere dei desideri e dall’altro occorre lasciare libertà ai figli di cercare i loro. Solo dal confronto costruttivo fra i nostri desideri che si pongono come punto di paragone e i loro, che devono essere i più liberi possibile, scaturirà una dialettica costruttiva. Un consiglio che offro ai genitori che mi vengono a parlare dei loro figli è quello di “farsi riconoscere nelle proprie debolezze”.
Insegnare ai figli che anche noi genitori abbiamo delle debolezze, che abbiamo imparato faticosamente a conviverci e che siamo felici ugualmente è molto importante. Se un figlio sa che il padre da giovane ha passato un periodo difficile oppure ha avuto un insuccesso nello sport, nella scuola o nel lavoro, può capire questa fragilità e di conseguenza accettare le proprie.
Tenere nascoste le nostre piccole o grandi debolezze di genitori per mostrare un’immagine inscalfibile, lungi dal rassicurare i figli, li pone di fronte a un’immagine inarrivabile che li opprimerà. Anche ai lettori di questo blog vorrei offrire lo stesso messaggio: siate disposti a far riconoscere i lati più fragili di voi stessi quando avrete figli adolescenti.