Un pressing asfissiante, per certi versi disperato, come quando sei sotto al 90’ e provi a pareggiarla nel recupero. I padroni del pallone stanno perdendo la partita che gli sta più a cuore: quella sul rinvio delle tasse, che la Serie A non vuole pagare. Sul calcio italiano pende una cartella esattoriale da mezzo miliardo per tutti i versamenti sospesi nel 2022 con la scusa del Covid. Scade il 22 dicembre e da settimane i patron assillano il governo per strappare un’altra proroga, senza risultati. Almeno per ora. Per quasi tutto il 2022 le società sportive hanno avuto la possibilità di non saldare i bollettini Irpef e i contributi previdenziali, grazie alla sospensione infilata l’anno scorso in manovra e poi prolungata in primavera fino a novembre. Praticamente un anno intero senza tasse, un privilegio concesso a quasi nessun altro settore: un modo per venire incontro ai club per le perdite subite durante il Covid, essenzialmente per gli stadi chiusi, che li avevano privati della liquidità di cassa. In questo periodo si sono accumulati circa 500 milioni di debiti col Fisco, 380 riconducibili alla Serie A, un centinaio per la Serie B e circa 30 in Serie C. Il Fatto Quotidiano ha svelato in esclusiva questa speciale classifica: in testa c’è l’Inter, con 50 milioni di pendenze, ma più delle cifre assolute contano quelle relative, e in questo senso le squadre che hanno rinviato tutti i versamenti dall’inizio dell’anno sono quattro, la Lazio di Claudio Lotito, il Torino di Urbano Cairo, l’Hellas Verona e la Sampdoria (quest’ultime due sono considerate le situazioni più a rischio).
Il problema è che tutti sapevano che la sospensione sarebbe scaduta a fine anno, ma quasi nessuno si è preoccupato di mettere i soldi da parte per onorare i termini: erano convinti che alla fine avrebbe strappato un’ulteriore proroga. Una rateizzazione sui prossimi 5 anni senza sanzioni, magari con un piccolo acconto iniziale: il provvedimento che gli uffici del Ministero dello Sport avevano già preparato, col beneplacito del ministro Abodi. Poi però la misura è stata rimbalzata in Consiglio dei Ministri: questione di opportunità ma anche di soldi, bisognava trovare centinaia di milioni di coperture per aiutare la Serie A. Semplicemente impresentabile agli occhi dell’opinione pubblica.
Da allora Abodi ha cambiato idea e ha ribadito la posizione contraria del governo. Il discorso sembra chiuso ma i presidenti non si arrendono: in testa Claudio Lotito, ormai uno e trino, che in parlamento parla un po’ da senatore, un po’ da proprietario della Lazio. Lunedì ha letteralmente monopolizzato la Commissione Bilancio di Palazzo Madama, interrogando il presidente della Serie A, Lorenzo Casini (che lui ha fatto eleggere), incalzando il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Ruffini, cercando in tutti i modi di mettergli in bocca il fatto che non sussistono ostacoli tecnici a concedere la rateizzazione gratuita alla Serie A, ma è solo una questione politica. “Creare nocumento al calcio significa crearlo al sistema. Il calcio è il veicolo più importante dal punto di vista mediatico, è un grande ammortizzatore sociale e nei momenti di difficoltà le persone si rifugiano nei risultati sportivi. Il calcio non è figlio di un Dio minore“. Lui è il più agguerrito di tutti, l’ultimo ad arrendersi: per ergersi a paladino della Serie A (e riscuotere consensi in Lega Calcio), ma anche perché non è poi così disinteressato, come dimostrano i numeri riservati rivelati dal Fatto.
Che poi in realtà la rateizzazione che chiede la Serie A esiste già: qualsiasi società in debito può ricevere l’avviso bonario e spalmare la cifra su più anni, pagando una multa del 10%. E non ci sarebbero penalizzazioni in classifica, visto che i prossimi controlli federali sono a febbraio e la Figc accetta accordi col Fisco (purché vengano onorati). Il problema è che i presidenti non vogliono nemmeno la mora. E continuano a insistere, sperando di infilare all’ultimo minuto un emendamento nella manovra o qualche altro provvedimento (entro fine anno c’è pure il Milleproroghe). La partita sembra chiusa, ma con la politica italiana non è mai finita. Specie se c’è Lotito in parlamento.