Secondo il nuovo proprietario di Twitter Elon Musk, di non celate simpatie repubblicane, il social ha adottato una serie di misure straordinarie per “insabbiare” la storia del computer di Hunter Biden, figlio del presidente Joe, pubblicata dal New York Post poche settimane prima delle elezioni del 2020. Secondo l’articolo del Post il dispositivo conteneva diversi file, comprese e-mail potenzialmente incriminanti, riguardanti i rapporti d’affari del figlio dell’attuale presidente con paesi e individui stranieri, a cominciare dall’Ucraina. In una delle email, Vadym Pozharskyi, cittadino ucraino e tra i dirigenti della compagnia energetica ucraina Burisma, ringraziava Biden per l’opportunità avuta di incontrare suo padre, allora vicepresidente, e per aver “trascorso del tempo con lui” ad aprile 2015. Hunter Biden, in quel momento, era membro del Consiglio di amministrazione della società.

A pubblicare su Twitter le mail che mostrano gli scambi tra i dipendenti della piattaforma online è il giornalista statunitense Matt Taibbi, in una serie di tweet condivisi dallo stesso Musk. Twitter, sostiene Taibbi, “ha adottato misure straordinarie per sopprimere la storia, rimuovendo collegamenti e pubblicando avvisi sulla loro possibile non sicurezza. Ne ha persino bloccato la trasmissione tramite messaggio diretto, uno strumento finora riservato a casi estremi, come la pornografia infantile”.

La tesi del giornalista è che la policy della piattaforma sulle pubblicazioni da censurare fosse dettata da simpatie politiche, e non dai contenuti dei post. Nel 2020, scrive Taibbi, “le richieste di eliminare determinati tweet erano routine. Celebrità e sconosciuti allo stesso modo potevano essere rimossi per volere di un partito politico. Entrambe le parti avevano accesso a questi strumenti. Ad esempio, nel 2020, sono state accolte e onorate le richieste sia della Casa Bianca di Trump che della campagna di Biden”. Tuttavia, sostiene, “questo sistema non era bilanciato in quanto basato sui contatti. E poiché Twitter era ed è composto in modo schiacciante da persone con un determinato orientamento politico, c’erano più canali, più modi per lamentarsi, aperti a sinistra (i democratici) che a destra”.

Il responsabile del dipartimento “integrità” della piattaforma, Yoel Roth, ha sostenuto in un’intervista rilasciata questa settimana di avere ritenuto che l’articolo pubblicato dal “Post” avesse i “tratti distintivi” di un’operazione di hacking e disinformazione russa. L’ex dirigente ha però ammesso di avere commesso un errore. Il New York Post è stato il primo giornale a riferire del computer, abbandonato in un laboratorio di auto riparazioni di Wilmington, Delaware, e che presumibilmente apparteneva a Hunter Biden. Circa 50 ex membri di varie agenzie d’intelligence Usa avevano affermato che le informazioni erano false ed erano state create dai russi per interferire nelle elezioni presidenziali, ma nel marzo scorso il New York Times ha confermato che il computer e le informazioni che esso conteneva erano autentici, e che sono state ammesse come prove di un’indagine portata avanti dal dipartimento di Giustizia su Hunter Biden e sui suoi affari finanziari e fiscali.

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