La raccomandazione arriva da un report delle Nazioni Unite. Da anni il più grande ecosistema al mondo di questo tipo sperimenta fenomeni di sbiancamento, cioè la morte dei coralli dovuta al surriscaldamento globale. E le politiche di riduzione delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento delle acque di Canberra sono insufficienti
La Grande barriera corallina australiana, la più estesa del mondo, dovrebbe essere inserita nell’elenco dei siti a rischio del patrimonio mondiale dell’Unesco. La raccomandazione arriva da un report delle Nazioni Unite: le azioni del governo di Canberra per contrastare la crisi climatica e proteggerla non sono state fino ad ora sufficienti. Quindi questo tesoro naturale è costretto ad affrontare “gravi minacce che potrebbero avere effetti deleteri sulle sue caratteristiche intrinseche”. Ciò significherebbe perdere un ecosistema che dal 1981 è considerato una delle meraviglie del mondo moderno.
A minacciare la Great reef barrier è il fenomeno del blanching (sbiancamento), cioè la morte dei coralli e dei loro habitat dovuta a temperature delle acque troppo elevate. Il complesso australiano l’ha già sperimentato più volte in alcune delle sue aree. L’ultima proprio a marzo 2022, alla vigilia del viaggio degli autori del report, Eleanor Carter dell’Unione internazionale per la conservazione della natura, e Hans Thulstrup dell’Unesco.
Con il ritmo attuale delle emissioni di gas serra in atmosfera e dell’inquinamento degli oceani, gli scienziati si aspettano un peggioramento della situazione già entro la prossima estate. Per questo hanno stilato una lista di 10 raccomandazioni “ad alta priorità” per evitare il disastro. La prima di queste è l’adozione da parte del governo australiano di obiettivi climatici “più chiari”.
L’accelerata del premier Anthony Albanese non è abbastanza: poco dopo la sua elezione, a marzo, aveva fissato una riduzione delle emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e l’azzeramento entro il 2050. Secondo un’analisi indipendente, questo percorso però è con il mantenimento del riscaldamento globale a 2 gradi, ben oltre la soglia critica per salvare le barriere coralline. Anche gli sforzi per migliorare la qualità delle acque, sebbene “considerevoli” – con circa 1,2 miliardi di dollari stanziati per il progetto -, sono troppo lenti.
Al contrario della crisi climatica che procede a velocità sostenuta. La tutela Unesco invece potrebbe “migliorare drasticamente” le possibilità del governo statale e federale di conservare il reef e le sue caratteristiche uniche a livello globale “per le generazioni future“.
Anche se le raccomandazioni non sono formalmente indirizzare al comitato Unesco, l’organo – che include i 21 Paesi e controlla la conservazione dei siti di valore da parte dei vari governi – richiederà nuove verifiche e prenderà una decisione entro la prima metà del 2023. L’inserimento nella lista però non è scontato. Già nel 2021 l’agenzia scientifica e culturale dell’Onu aveva tentato di includere la Grande barriera nei siti a rischio. L’esecutivo di Camberra però, all’epoca guidato da Scott Morrison, si era opposto fermamente, grazie al sostegno dell’Arabia Saudita. Dopo le dimissioni della Russia, Riad è la candidata principale alla presidenza Unesco. Una prospettiva che preoccupa gli esperti che, già in passato, si sono lamentati di come le decisioni dell’organo stiano diventando sempre più politicizzate e meno interessate alla tutela del patrimonio naturale.