I nostri più vicini parenti, gli scimmioni bonobo, guzzano come se non ci fosse un domani, senza distinzione di sesso, e lo fanno anche quando gli ormoni della fertilità non scatenano gli appetiti sessuali, quindi fanno cose vastase quasi tutti i giorni dell’anno. Grande differenza con il resto degli animali che copuleggiano solo quando l’estro ormonale lo impone. È quindi da sospettare che anche i nostri lontani antenati usassero il sesso come strumento sociale di piacere, pacificazione e incentivo alla solidarietà.

Per lungo tempo alcuni storici hanno creduto che la guerra sia sempre esistita, tanto che l’uomo Sapiens ai primordi aveva macellato i poveri Neanderthal fino allo sterminio. L’analisi del dna di reperti ominidi ha dimostrato che per qualche milione di anni i pre-umani hanno piuttosto praticato un’ospitalità sessuale frenetica, accoppiandosi con fervore ogni qual volta incontravano altre etnie. Si è scoperto infatti che non è vero che che i Neanderthal e gli umani non potevano generare figli fertili (un po’ come accade per gli asini e i cavalli, i muli non fanno figli). Invece è ormai inoppugnabile che nel dna umano troviamo oggi geni Neanderthal e di altri 5 o forse 6 gruppi etnici, che come i Neanderthal non erano un’altra razza ma semplici varianti umane. Insomma, l’umanità si è evoluta tramite continui incroci tra ominidi per milioni di anni. Con buona pace dei razzisti e di chi crede ancora che sia stata la guerra la principale molla evolutiva.

Fare l’amore con gli stranieri era anche costume sacro presso i primitivi pescatori contadini, che crearono le prime civiltà lungo i grandi fiumi del pianeta. Lo sappiamo anche perché l’usanza sopravvisse fino a epoche storiche: ad esempio la descrive il diario di Cabeza de Vaca (giuro che si chiama così), spagnolo naufragato sulle coste dell’americana Florida nei primi anni del 1500, e qui rifocillato dai nativi Calusa, popolo civilissimo che viveva in grandi case di legno e non conosceva né re né supremazia maschile.

Rifocillato il ramingo, i “selvaggi” gli domandano carinamente se fosse disposto a copulare con tutte le femmine adulte del loro popolo. Compito immane visto che i Calusa erano una federazione di decine di etnie piuttosto numerose. Tanto che lo spagnolo, insieme a un altro sventurato scampato al naufragio, impiegò 8 anni per compiere l’impresa… Un vero martirio. Ogni giorno, più volte al giorno venivano nutriti e poi posseduti dalle giovani animalesse, pare sessualmente avvezze a costumi raffinatissimi e vere artiste nel mobilitare la muscolatura vaginale allo scopo di risucchiare il seme straniero e regalare piaceri sibaritici.

Simili terribili trattamenti erano dovuti all’idea che i figli nati da rapporti con stranieri nascessero più sani, intelligenti e belli. Questa scellerata costumanza era diffusa ancora in età storica presso parecchi altri popoli, dalla Micronesia all’Africa Nera agli Inuit dell’Alaska. E diari di viaggiatori europei sono pieni di cronache stupefatte.
Ora, sicuramente, quel tale che blatera di antiche famiglie naturali contesterà queste mie tesi. Ma vi sono altre prove inoppugnabili di queste consuetudini. Infatti possiamo seguire, nel mutare dei costumi, tutte le fasi che vanno dalla società promiscua, bisessuale e fortemente solidale al patriarcato guerriero, schiavista e monogamico. Via via che i pastori guerrieri patriarcali, inventata la guerra, si dedicavano alla sottomissione dei civili popoli matriarcali, i loro costumi originari si diluirono. Ancora qualche secolo prima di Cristo, a Babilonia era vietato tradire il marito sia con nativi che con stranieri, ma questo divieto non valeva prima del matrimonio; anzi le femmine non potevano sposarsi se prima non copulavano con uno straniero nel bosco sacro adiacente al tempo della Dea Militta. Di questo sfacciato comportamento è testimone disgustato il cronista greco Erodoto. Ma a lungo andare i focosi guerrieri pastori ebbero a uggia questa copula con extracomunitari, presumibilmente infetti quanto infedeli e sovente muniti di peni di notevole misura che li facevano forse poi rimpiangere ad alcune mogli, amanti dell’eccesso, per lungo tempo…

Quindi in una fase evolutiva successiva imposero la cancellazione di codesta deprecabile usanza. Al momento di decidere ipotizzo che un anziano si sia levato in piedi e con voce forte abbia detto: “Certo, capisco che sapere che la vostra futura sposa si reca al tempio della Dea Fertile e quivi tromba con l’extracomunitario vi faccia irritazione quanto rotolarvi nell’ortica, ma dovete riflettere bene prima di cancellare del tutto l’usanza! Chiedetevi perché i nostri avi scelsero questa costumanza. Perché? Perché la donna, quando perde la verginità, emette effluvi venefici che possono portare malanni terribili come lo scagozzo, la caduta delle dita dei piedi e perfino la calvizie e la morte! E per questo si decise di far deflorare le nostre donne agli stranieri e tanto meglio se poi morivano e non potevano quindi vantarsene! Se non volete che i neroni non si fottano le vostre pulzelle è meglio che lo facciate senza rischiare voi la vita. Quindi lasciate il compito della deflorazione a chi morendo ha poco da perdere. Sarà compito dei vecchi sacrificarsi per salvare i giovani! E io, pur temendo la malattia e la morte, mi offro! Mica per niente sono sacerdote sommo della Divinità creatrice HOFATTOTUTTIO!”. Disse grossomodo così l’astuto vegliardo e i giovani, terrorizzati all’idea della morte e della calvizie, accettarono. E, infatti, sono innumerevoli le civiltà dove tocca ai poveri vecchietti gettarsi tra le fiamme velenose delle giovinette e attirare su di sé gli strali della morte per salvare la gioventù!

Ma dopo qualche secolo, qualcuno, forse ubriaco, sperimentò il coito con una vergine e visto che non gliene venne un brutto male, e anzi il mattino dopo era piuttosto su di giri, i giovani guerrieri dissero: “Col cazzo che faremo ancora guzzare le nostre promesse spose con dei vecchiacci laidi!”. Ma i più prudenti ebbero la meglio e si decise che le giovinette sarebbero state sverginate sì da un vecchio ma non con il viril membro ma con un fallo ligneo. Ma pare che qualche vecchio ci prese troppo gusto nella pratica e allungava le mani, si strusciava e praticava comportamenti comunque ignobili. Dopo altro tempo la tolleranza per la libido malata dei vecchi defloratori con simulacri fallici decadde e si decise che era più decente che fosse un’anziana a rischiare la morte deflorando le fanciulle. E poi ci fu lo scollinamento culturale fallocrate e il compito dell’anziana sacerdotessa fu rovesciato: non più deflorare con un fallo vegetale e minerale, ma verificare che la vagina fosse intatta con il sigillo imeneo non lacerato. Dell’ospitalità sessuale restò traccia solo nella sacralità dell’ospite ma niente sesso, solo cibo e riparo per la notte.

E infine si giunse alla piena maturità dello sciovinismo patriarcale fallocratico che in alcune zone d’Italia, ancora nel secolo scorso, prevedeva che si esponesse alla finestra il lenzuolo insanguinato, dopo la prima notte di nozze, truculenta prova di verginità. E, per inciso, solo l’ignoranza sessuale e la ghiozzezza maschile determina che la deflorazione provochi sanguinamento. Testimonia lo stratificarsi del valore della verginità il fatto che ancora oggi in Europa ha valori diversi a seconda dei popoli. Trent’anni fa restai scandalizzato, insieme a una platea di sessuologi italiani, da un video didattico, prodotto dal ministero dell’educazione danese, nel quale tra l’altro si consigliava alle bimbe delle medie inferiori di lacerare l’imene con le unghie allo scopo di evitare fastidiosi sanguinamenti e relative possibili infezioni. Se qualcuno avesse oggi l’ardire di proiettare quel video in una scuola italiana si vedrebbero genitori armati sgozzare preside e insegnanti e poi dare fuoco all’istituto scolastico…

Nella prossima puntata: La famiglia naturale inesistente, dalla pedofilia omosessuale dei greci al bendaggio dei piedi cinese.

Tratto dal mio spettacolo: “Hai sangue arabo, nero e giallo e ti credi lombardo”. Debutterò a Campo Calabro (Reggio Calabria) il 5 dicembre 2022.

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