Entri nel romanzo di Ilaria Palomba, Vuoto appena uscito per Les Flaneurs edizioni (collana Elite, pp. 285, euro 18) e sei in un paesaggio lisergico, la luce è bituminosa, le falesie del Salento sono scoscendimenti sull’inguine di inferni travolti; ti viene incontro una donna, ora la profetessa di ogni suicidato dalla storia, ora l’anonimo di Friedrich Nietzsche, muto, in disparte capace di rivolgere gli accadimenti che cambieranno i millenni, eppure solo, da un canto e a parte di tutto: è la voce narrante, è Iris.
È lei che ti viene incontro, finita dentro un caos, non c’è un ordine morale, una possibilità etica per cui rimettendo a posto i capitoli promettiamo a Iris la salvezza. Iris nella città capitolina, il suo mondo di privilegi diventa il ganglio di una deportazione, la meta è un allucinogeno, una fasulla porta di percezione, raffinatissima menzogna.
Iris è una poetessa. Scrive, oppressa dal peccato altrui, finisce per perdersi. La sua perdizione è alla fine di ogni inquietudine alimentata da adepti agiti da cinismo, inattingibile, blasfemo; il parterre è una cospirazione pretestuosa, non autentica, di pensatori, artisti, in quel mondo romano alterato da montagne di coca, emmedì, promiscuità, esoterismo, dottissime crudeltà, violenze accademiche e irreprensibili, salotti borghesi, conversazioni ermetiche e sofisticate. Ma c’è Iris, la scheggia impazzita, il contesto che agisce, fuori luogo, piega, seduce, ferisce chiunque la attraversi, dinamica tuttavia vicendevole.
Ci sono i poeti, i poeti giovanissimi che muoiono disciplinati da un tacito patto, le anime eccellenti devono morire presto. Iris è sedotta dal suo doppelganger, il viandante nero, e scrive: “colei che desidera la morte”. Sofisticate menzogne, che talvolta nutrono Iris, spersa e diafana, sconvolta dal trip, la vita le si è spalancata davanti come una enorme bocca, digrignante, avida, o l’utero proteiforme, mostruoso, forse non quello di una madre.
La Palomba fa dire a un personaggio minore: l’eroina è la madre. Iris, la voce narrante, è sedotta dal senso rovesciato della fine, ma non è mai la fine. I suoi amici. I suoi amori. Sono caleidoscopi di sopraggiunti tradimenti, forme di abuso rinverdito da ragioni sempre avvinte all’oracolo sbagliato, una mente spinosa e feroce può rappresentare un abbaglio, restituire la summa di tutte le assenze.
Quali hanno infilzato Iris, crocifissa, sotto il cielo bituminoso, del mondo acconciato per disgrazia, forse pensandolo il più conforme a un desiderio, quali ci domandiamo leggendo questo romanzo, terribile, violento, commovente, amorale perché fino all’ultima pagina non è altro che una ricerca, una invocazione disperata, senza redenzione. Idris non desidera, credo.
Il doppio viandante, la voce narrante e chi scrive, il gemello bianco. Il mondo di Iris, dove Ilaria Palomba dimostra di conoscerne dettagli scabrosi e innominabili, e con quale coraggio e talento ricondurci con le parole al medesimo. È una lettura che sgomenta, non so se faccia bene, ma non è il traguardo della letteratura, il registro pedagogico non è affare degli scrittori.
Leggi questo romanzo e ne esci tormentata e inghiottita e ogni ossessione risale, come certe maree o le correnti, avvinghiate nel mare del Salento, il Salento di Iris. L’autrice, Ilaria Palomba, scrittrice, saggista, poetessa pugliese è una promessa della letteratura italiana, a mio avviso.
Buona lettura, si fa per dire.