Ricominciare da un anno fa, dai piani di riconversione dal basso elaborati durante l’occupazione della fabbrica, seguita all’annuncio di chiusura dello stabilimento Gkn di Campi Bisenzio, nel 2021. Il picchetto fuori dai cancelli non è mai stato tolto, ma il progetto autonomo era sembrato non più necessario dopo il passaggio di mano della società alla Qf spa di Francesco Borgomeo (ex advisor di Gkn), che aveva promesso di scongiurare la chiusura con una linea di motori e-drive. Ma alla scadenza dei tempi di presentazione del suo piano industriale davanti al tavolo di crisi istituzionale (il 5 settembre, dopo un primo rinvio il 31 agosto), Borgomeo ha presentato solo alcune slide e un piano di lavoro basato su cassa integrazione e sussidi pubblici. Il collettivo dei lavoratori della ex Gkn non crede più al piano di Qf, così a settembre ha dichiarato la “fabbrica pubblica socialmente integrata” e riaperto il cantiere del rilancio autonomo.
“L’imprenditore ha mostrato che non ha soldi e siamo al secondo mese a zero euro, stiamo provando a crearci noi il modello di lavoro con la speranza di presentarla alle istituzioni”, riassume un membro del collettivo. A dieci mesi dal passaggio di proprietà, domenica si è tenuto il secondo atto della “fabbrica pubblica”. Dalla mattina al tardo pomeriggio i locali dello stabilimento hanno accolto centinaia di “solidali” per una serie di workshop per vagliare possibili assi di riconversione. “La scelta ormai non è tra intervento pubblico e privato, ma tra un privato che chiede intervento al pubblico per socializzare i costi delle sue mancanze e un gruppo di lavoratori che prova a chiedere un intervento pubblico per una finalità pubblica”, dice Dario Salvetti del collettivo Ex Gkn “Insorgiamo”.
Slide, fogli di appunti e racconti a viva voce di esperienze e modelli d’impresa già avviati su altre territori, da usare come spunto per ridisegnare la fabbrica. Si ragiona di riconversione della fabbrica in polo agro-voltaico (mix di pannelli solari e orto) per produrre e rivendere energia rinnovabile aderendo a una comunità energetica. Oppure di riconvertire questa fabbrica, nata per la componentistica dei motori termici e fino al 1994 di proprietà Fiat, all’assemblaggio di cargo bike, alla riconversione elettrica di mezzi pesanti del trasporto pubblico oppure o di pannelli solari. Non idee nell’aria, ma piani pesati con economisti e ingegneri, basati anche su una mappatura delle aziende sul territorio con cui entrare in sinergia. Nei tavoli di lavoro si parla però anche di microcredito, di gruppi di acquisto solidale e agricoltura sostenibile. Senza troppe velleità, perché a tutti è chiaro che nessuna di queste attività basterà da sola a restituire gli stipendi a 300 operai, ma si scommette possano essere il tassello di un quadro più ampio.
A fine novembre il collettivo ha registrato una Società di mutuo soccorso (Soms Insorgiamo) per sostenere economicamente gli operai, che denunciano di non ricevere più stipendio da due mesi. Il 1 dicembre, spiegano, Qf ha comunicato via Telegram una riduzione dei turni. Borgomeo dà la colpa al presidio e alle istituzioni per mancata attivazione della cassa integrazione, i sindacati ribattono che il problema è invece l’assenza di un piano industriale: “La proprietà chiede la cassa integrazione ma è un sussidio di disoccupazione mascherato”, ripetono in molti del collettivo di fabbrica.
Nonostante tutto, “l’energia tra gli operai è quella dei primi giorni di occupazione”, dice Francesca Gabbriellini, dottoranda dell’Università di Bologna e parte del “comitato scientifico” per la reindustrializzazione. L’assemblea serviva anche a dare una misura della rete di solidarietà che da un anno avvolge e si fa coinvolgere dalla vertenza dei 300 dell’ex Gkn. “Questo periodo assomiglia ai primi 75 giorni di vertenza, in cui avevamo una deadline per evitare i licenziamenti e non sapevamo cosa sarebbe successo dopo”, spiega Salvetti, non senza ammettere di non sapere quanto potrà durare ancora la vertenza alle condizioni attuali. Per riaccendere i riflettori, il 14 novembre i lavoratori hanno occupato per due giorni Palazzo Vecchio, sede del Consiglio comunale di Firenze.
La prossima scadenza per il collettivo è fissata a l’11 dicembre, data in cui scadrà il termine di un referendum popolare autoconvocato in 130 seggi sul territorio. Il quesito, rivolto ai cittadini di Firenze, chiede di pronunciarsi sull’intervento pubblico “immediato” e cassa integrazione “vincolandoli però al principio di pubblica utilità e controllo pubblico, a partire dal riconoscimento della messa a disposizione dello stabilimento alle proposte industriali e sociali provenienti dai soggetti pubblici, o privati”, inclusa l’assemblea dei lavoratori e dei gruppi solidali con loro.