di Stefano Pedrollo
Durante la tornata delle elezioni politiche del 2022 si è registrata l’affluenza più bassa da quando l’Italia è una repubblica parlamentare. Il tasso di astensionismo è arrivato al 36% e dagli ultimi 30 anni tende ad aumentare ad ogni elezione. Per la prima volta il partito di maggioranza relativa rappresenta meno cittadini di quelli che hanno scelto una gita fuori porta invece di votare.
I cittadini non credono più nella delega, non si sentono rappresentati. Ci troviamo ad un grado tale di disaffezione dell’offerta politica che per invertire il trend è diventato necessario spingere affinché si evitino le intermediazioni dei partiti e delle loro strutture organizzative (che comportano spesso “storture” e antipatie); i partiti, prima portatori e aggregatori di ideali, ora si sono specializzati nella gestione e nella spartizione clientelare di ciò che entra nelle casse statali.
Detto questo, per le stesse debolezze insite del genere umano, sarebbe preferibile e molto più efficiente affidare la gestione della macchina politica ad asettici algoritmi. Le persone si rivelano geniali quando si tratta di proporre soluzioni per la collettività, ma egoiste quando ambiscono a ruoli di potere, anche i più insignificanti. È ora quindi di introdurre nel dibattito politico anche il tema della transizione democratica verso la democrazia diretta. La democrazia rappresentativa, il “Sistema” creato ad uso e consumo dei partiti, non è dunque l’ultimo atto del processo.
Il sistema attuale non riesce più a nascondere i suoi mali cronici (la corruzione in primis) ed è necessario tentare di superarli attraverso l’introduzione di nuovi strumenti. Abbiamo certamente un forte debito di riconoscenza nei confronti della democrazia rappresentativa, la quale ci ha guidato fuori dal periodo più buio della nostra storia; era il giusto compromesso per pacificare i conflitti della società sorti nel Ventennio. La democrazia rappresentativa sta però fallendo nel compito più difficile, quello di responsabilizzare i cittadini; l’impegno civico sta via via scemando e un numero sempre maggiore di persone si sviliscono nell’astensionismo o, peggio ancora, si rifugiano dietro a leader carismatici che soffocano l’evoluzione democratica. La democrazia diretta è una visione utopica ma, al contempo, (il solo tentativo di implementarla) risulta un’àncora di salvezza per i cittadini che si sentono sempre più delusi dalle dinamiche del sistema partitico elettorale.
La democrazia diretta vuole impedire che il predominio economico delle lobby si converta in predominio politico, o almeno, tenta di impedire che il predominio politico della classe economicamente prevalente divenga esteso, perdurante, indissolubile negli intricati rapporti tra istituzioni e i consigli di amministrazione a porte chiuse; in poche parole la democrazia diretta vuole portare il concetto di trasparenza ai suoi massimi livelli per smascherare questo sistema rappresentativo che ogni giorno si dimostra essere una oligarchia partitico-finanziaria.
La democrazia diretta, permettendo alla massa di entrare dalla porta principale del processo decisionale, intende stabilire e mantenere un terreno politico di uguaglianza e di neutralità attraverso algoritmi informatici open source, rendendo di fatto inutile la rappresentanza, e di conseguenza la ricerca del consenso, la pratica delle elezioni e il voto ai partiti. Lo scopo è eliminare il parlamento, ossia la forza artificiale della politica e della legislazione, e introdurre una nuova assemblea digitale (ma che corrisponda più fedelmente alla realtà effettiva) costituita da tutti i cittadini attivi.
Oggi, grazie allo sviluppo tecnologico, abbiamo degli strumenti sempre più adatti e performanti che potranno coinvolgere e supportare le persone e il loro impegno civico, non solo per accrescere la loro forza politica ma soprattutto per costruire una società che diventi vera comunità attraverso la ”intelligenza collettiva”.