Il ministro Giancarlo Giorgetti ha presentato la finanziaria 2023 come un insieme di misure improntate alla responsabilità e alla prudenza finanziaria. Intento senza dubbio lodevole. Questa visione pragmatica sembra aver guadagnato un certo consenso, soprattutto negli ambienti confindustriali. Un attento esame però dimostra che le cose stanno molto diversamente e della prudenza dichiarata non si scorge traccia. La finanziaria Giorgetti-Meloni, al contrario, si rivela molto poco responsabile ed equa, prima sul piano economico e poi, ancora di più, su quello delle scelte sociali.

Innanzitutto sul piano economico. La finanziaria 2023 si dovrebbe inserire in un percorso di rientro della finanza pubblica dopo gli interventi notevolissimi per tamponare le conseguenze negative dell’epidemia, documentate dall’esplosione del disavanzo primario. Al contrario, questa finanziaria prevede un ulteriore scostamento di bilancio di 21,2 miliardi. Scostamento significa ulteriore deficit che servirà per finanziare le misure perviste. C’è da notare che la Nadef aggiornata dallo stesso Giorgetti a novembre prevedeva un rientro nel 2025 del nostro rapporto debito/Pil dall’attuale 144,6% al 141,2% nel 2025. Non è chiaro come il ministro riuscirà in questo autentico miracolo macroeconomico, soprattutto perché egli stesso inizia con un extra deficit non necessario.

Se questo non bastasse a qualificare la finanziaria 2023 come di dubbia responsabilità, c’è un altro aspetto, forse ancora più problematico. Le principali misure durano solo pochi mesi oppure valgono solo per il 2023. Ad esempio i bonus energetici, che valgono da soli 14 miliardi, scadranno il 31 marzo e poi andranno trovate altre risorse. Molti altri interventi si esauriscono nel 2023. Non si era mai vista una finanziaria così fragile e precaria. Poiché il ciclo economico non sta migliorando, e anzi per il 2023 si prevede una crescita nulla, dobbiamo aspettarci pesanti interventi correttivi per la prossima primavera, cioè altri tagli per ora abilmente nascosti.

Sul piano poi delle scelte sociali, la mancanza di responsabilità è ancora più evidente. Questa finanziaria, come ha osservato sempre Giorgetti, di basa su dei tagli. Si ritorna quindi a una austerità venata dalla consapevolezza dei problemi presenti e futuri della finanza pubblica? Non proprio. I tagli ai redditi di alcune categorie di cittadini e contribuenti sono più che compensati dai vantaggi assegnati ad altri, secondo una minuta chirurgia fiscale dal carattere squisitamente politico-elettorale. Si viene così a generare, e anzi ad acuire, una tensione sociale di cui la società italiana non ha bisogno. Esaminiamo alcuni casi principali.

Dopo aver dichiarato in campagna elettorale grande attenzione per il mondo delle pensioni, il primo atto del nuovo governo di destra è stato la loro riduzione. Il taglio deriva dall’adeguamento solo parziale all’inflazione delle pensioni sopra i 2000 euro lordi, peraltro previsto per legge, e frettolosamente modificato dal ministro Giorgetti per fare cassa. Dove finiranno questi soldi risparmiati, 2,5 miliardi per il 2023, e tolti a 3 milioni di pensionati? Andranno a favore dei lavoratori dipendenti con redditi inferiori ai 30.000 euro attraverso la riduzione del cuneo fiscale (4,8 miliardi di spesa pervista). Quindi il governo mette i pensionati con redditi medio-alti, uno su cinque, contro i lavoratori che hanno redditi medio-bassi. Poiché siamo sempre nel campo redistributivo, non si capisce la logica economica di questa vocazione a tartassare i pensionati. Anche perché questi tagli ridurranno in maniera permanete la pensione, mentre la riduzione del cuneo è prevista solo per il 2023. Poi si vedrà.

Ancora più irrazionale e socialmente ingiustificata è la riduzione del salario di cittadinanza (700 milioni). È chiaro che questa misura va riorganizzata, ma non certo finanziariamente indebolita. Il mini taglio di quest’anno prelude alla sua eliminazione nel 2024 con un incasso per il ministro di 8 miliardi. Vedremo quale tipo di sostegno al reddito inventerà la premier Meloni al posto della detestata misura grillina. Qui ci interessa che i soldi risparmiati non andranno ad alleviare le casse pubbliche, ma sono regalati ai facoltosi professionisti attraverso l’estensione della flat tax (spesa prevista a regime 800 milioni). Misura di equità fiscale come sostiene la premier Meloni? C’è ancor qualcuno che sostiene che il percettore standard del reddito di cittadinanza sia una persona che beatamente lavora in nero e riceve un reddito non dovuto. Può essere. Egualmente si può dire però che il reddito del lavoro autonomo e d’impresa evade il 70% delle tasse e andrebbe colpito con altrettanta durezza, invece che ottenere privilegi fiscali di vario tipo. Qui la destra usa due pesi e due misure, come è suo costume.

Ma il taglio più grave della finanziaria 2023 è quello che non si vede e riguarda il pubblico impiego. Anche se molti pubblici dipendenti nello stipendio di dicembre riceveranno gli arretrati dei contratti scaduti tre anni fa, c’è poco da gioire. Molti contratti della PA scadranno nel 2024, ad esempio quello del comparto scuola, con una spesa ingente per lo stato. Questa spesa poi viene anticipata con l’indennità di vacanza contrattuale. Un ministro responsabile avrebbe cominciato ad inserire cifre importanti a questo scopo già nel bilancio 2023. Invece il ministro Giorgetti ha previsto solo un piccolo bonus contro l’inflazione pari all’1,5% dello stipendio, ma solo per il 2023. Tenendo contro che l’inflazione nel 2022 ha superato il 10% e che nel 2023, se va bene, si attesterà al 5%, la riduzione del potere di acquisto dei pubblici dipendenti sarà del 15% in appena due anni. La proposta del premier Meloni per i pubblici dipendenti appare più una beffa che il giusto ristoro. Già nel 2010 il Governo di destra di Berlusconi ha bloccato gli stipendi dei lavoratori pubblici, ora la storia sembra ripetersi con la premier Meloni. È del tutto improbabile infatti che nel bilancio 2024 ci siamo le risorse necessarie per i rinnovi contrattuali se non ci comincia ora ad accantonarle.

Una finanziaria prudente allora? Economicamente no. Socialmente equa? Nemmeno, perché i pensionati, le persone in difficoltà e i dipendenti pubblici pagheranno per tutti. Una finanziaria politica allora? Sì, ma della peggior specie come non si vedeva da tempo.

Intanto aspettiamo la primavera, quando la presunta responsabilità di questa finanziaria si scioglierà come neve al sole. Ma allora sarà tutta colpa della Ue o della sfavorevole congiuntura economica, non delle miopi scelte fatte oggi dal ministro Giorgetti per conto del governo Meloni.

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