La presidente Lilia Cavallari, nell'ultima audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, mette a nudo punto per punto tutti i nodi: i condoni inducono a non pagare in vista di future sanatorie, alzare il tetto al contante allenta "due vincoli che possono contribuire a contrastare l’evasione fiscale e il riciclaggio", ampliare la platea che godrà della tassa piatta viola l'equità del prelievo e in più sottrarrà medici al servizio sanitario pubblico in favore del più conveniente lavoro a partita Iva
La flat tax con tetto a 85mila euro consentirà a un professionista di risparmiare più di 13mila euro sulle tasse rispetto a un lavoratore dipendente con lo stesso reddito. Con evidenti “squilibri sulla base dei principi di equità orizzontale del prelievo”. Non solo: il vantaggio fiscale andrà soprattutto ai più ricchi, perché “i criteri impliciti derivanti dall’applicazione del regime determinano una selezione tale per cui i soggetti che aderiscono appartengono per oltre il 77% al 10% dei contribuenti con reddito da lavoro più elevato“. Questo mentre i pensionati con assegni superiori a quattro volte il minimo (2.100 euro lordi) si vedono tagliare la rivalutazione dell’assegno, un intervento che “è da considerarsi alla stregua di un’imposta“. La presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Lilia Cavallari, nell’ultima audizione sulla manovra davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, mette a nudo punto per punto tutti i nodi della manovra. A partire dalla tassa piatta cavallo di battaglia del centrodestra. Molti dubbi anche sulla quantificazione di alcuni impieghi e coperture, nonché sul fatto che la relazione tecnica non quantifica “gli effetti che le misure che incidono sui meccanismi di monitoraggio, accertamento e riscossione delle imposte potranno avere sul livello di compliance, e quindi sul livello delle entrate future”.
L’estensione del regime forfettario, che lungi dal “ripagarsi da sola” costa 404 milioni l’anno e “crea un incentivo limitato a far aumentare ricavi e compensi” mentre “determina un forte disincentivo alla crescita”, è uno dei tasti più dolenti. Ne godranno circa 60mila persone, secondo le stime dell’Upb, con un tasso di adesione “decisamente più alto fra i professionisti” che fra le imprese perché sono i primi quelli che ci guadagneranno di più: la bellezza di 9.600 euro medi (contro i 5600 degli imprenditori individuali) ma il 25% otterrà “un beneficio superiore a 13.264 euro“. Le categorie che aderiranno in massa, visti i vantaggi? Notai, disegnatori tecnici, giornalisti indipendenti, ingegneri. Ma un 61,7% di nuovi forfettari è previsto anche nel settore sanità e assistenza sociale, con il risultato di sottrarre ancora più medici al servizio pubblico già con l’acqua alla gola in favore del più conveniente lavoro a partita Iva. Una criticità che l’Ufficio sottolinea apertamente nel capitolo dedicato alle insufficienti risorse previste per la sanità, tra “mancanza di indicazioni sui contratti del pubblico impiego”, aumento dell’indennità di pronto soccorso che arriverà solo dal 2024 e appunto nuova flat tax che “potrebbe contribuire a incentivare l’opzione (dei medici ndr) per la libera professione nel privato”, proprio mentre “si diffondono forme contrattuali diverse dal lavoro dipendente, mediate da cooperative, con aumenti dei costi e un impatto sfavorevole sull’organizzazione dei servizi”.
Ma l’organismo indipendente che vigila sulle previsioni dell’esecutivo non si ferma qui. La flat tax incrementale, che il governo aveva descritto come “un premio a chi crea ricchezza“? Non avrà alcun effetto del genere: “è limitata a un solo anno di imposta ed è quindi difficile che possa incentivare in modo strutturale l’attività economica o l’emersione di redditi nascosti al Fisco”. Oltre al fatto che pone un palese problema di equità orizzontale: “due contribuenti che, nel 2023, conseguono lo stesso reddito – l’uno aumentando il reddito dell’anno precedente e l’altro mantenendo un livello di reddito invariato – sono sottoposti a una tassazione diversa senza che questo sia giustificato da una diversa capacità contributiva”.
I condoni? Certo non una novità, ma “la loro ripetizione – in assenza di un disegno complessivo mirante a prevedere, tra le altre cose, l’introduzione di meccanismi di cancellazione automatica dei debiti inesigibili, con l’obiettivo di ridurre il magazzino delle cartelle – rischia di danneggiare sia l’efficienza del sistema di riscossione sia il rapporto con i contribuenti, che potrebbero essere indotti a non pagare i tributi nell’attesa di future sanatorie”. E stavolta bisogna tener conto degli obiettivi del Pnrr, che “politiche non rigorose nella lotta all’evasione rischiano di compromettere“. Alzare il tetto al contante, a sua volta, allenta “due vincoli che possono contribuire a contrastare l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro” per non dire del fatto che “la letteratura economica è pressoché concorde nel sostenere che l’aumento dei pagamenti in contanti possa comportare un incremento dell’evasione”. Un grafico mostra molto chiaramente che “le regioni italiane dove l’utilizzo del contante è più diffuso sono anche quelle in cui si stimano i maggiori livelli dell’evasione Iva”
Guardando alle coperture, è sonora la bocciatura del taglio all’indicizzazione delle pensioni. I pensionati, è il ragionamento, “rispetto alle persone in età attiva hanno molte meno possibilità di difendersi dall’inflazione, e pertanto il mantenimento del loro potere di acquisto è affidato quasi esclusivamente all’indicizzazione”. Per le quote delle pensioni calcolate con le regole contributive, “il rallentamento o il congelamento anche temporaneo della rivalutazione è da considerarsi alla stregua di un’imposta. Se viene indebolita la regolare indicizzazione ai prezzi anno per anno, alla fine il pensionato riceve, come rendita, meno di quanto gli spetterebbe. Le regole sulla rivalutazione dovrebbero quindi rimanere il più possibile stabili”.
Censurata anche la prevista abolizione del reddito di cittadinanza senza che sia pronta una misura alternativa, considerato che “da una simulazione dell’Upb su dati Inps emerge che, con le nuove regole introdotte dalla manovra, il 38,5 per cento dei nuclei che oggi ricevono il RdC potrebbero perderlo da agosto 2023″. E ad essere esclusi dal sussidio saranno “il 36,1 per cento dei disoccupati e meno di un terzo degli occupati“. Si tratta di lavoratori che guadagnano talmente poco da avere diritto all’aiuto pubblico. Non certo quelli che la maggioranza descrive come “fannulloni” affezionati al divano. Una condizione, quella dei working poors, di cui secondo Cavallari “sarebbe auspicabile tenere conto nel ridisegnare gli strumenti di sostegno alla povertà e all’inclusione attiva”.