di Esiodo
Fa impressione e svilisce profondamente l’immagine di una Presidente del Consiglio che inveisce e contesta con spropositata veemenza l’unica misura “anti povertà e di dignità sociale” esistente oggi in Italia, quella del reddito di cittadinanza, additandola quasi fosse il male peggiore del Paese. E’ paradossale, se non surreale, ascoltarla etichettarlo come “immorale”, quando invece di profondamente “immorale” c’è solo il cinismo e il livore a tratti imbarazzante anche per gli astanti con cui la stessa si scaglia contro una misura che ad oggi, per il periodo “record” di quasi quattro anni (2019-2022), ha ridato finalmente dignità a milioni di Italiani indigenti, rei – a suo dire e a detta della propaganda elettorale di partito (vedi FdI-Lega) – di essere dei furbetti, poltronisti e per giunta occupabili; sebbene in molti però, stranamente, non riescano ad essere occupati, e non perché rifiutino le offerte, ma perché in realtà di offerte congrue (leggi “serie e dignitose”) neanche l’ombra, per esperienza personale mia e di altri sventurati come me.
Incuriosisce ai più e al sottoscritto in particolare il significato di “occupabile” che la Premier espressamente sottende a supporto della sua propaganda anti RdC, che presumibilmente fa riferimento alla capacità di questi “fortunati” di poter deambulare, d’intendere e di volere ed esprimersi in un italiano mediamente accettabile, il che li renderebbe, a quanto pare, adatti a qualsiasi tipo di reinserimento lavorativo, prescindendo di fatto dalle loro esperienze lavorative pregresse, dalle loro reali attitudini e dalle loro qualifiche professionali/titoli di studio; poco importa poi se l'”occupabile”, magari con tanto di laurea e con trascorsi da impiegato di concetto, venga occupato in qualità di operatore ecologico o lavapiatti, senza nulla togliere naturalmente alla dignità e alla utilità sociale di quest’ultime categorie professionali.
Sfuggono probabilmente a Meloni le dinamiche molto più complesse e articolate dell’attuale mercato del lavoro in Italia, dove i requisiti richiesti sono ben altri, non certamente quelli che presumibilmente lei considera per la definizione di “occupabile”, dove di fatto, per talune categorie e per alcune fasce d’età (vedi over 40 e 50), anche il possesso di una laurea rende all’atto pratico difficile, se non impossibile, il reinserimento in un mondo del lavoro sempre più esigente e competitivo, talvolta anche per le mansioni meno ambiziose.
A questo riguardo, sommessamente mi permetto di avanzare l’ipotesi per cui probabilmente questa sua carenza sia imputabile alla scarsa familiarità che la Premier ha coi centri per l’impiego, e in generale con tutto ciò che attiene la ricerca concreta del lavoro al di fuori del mondo “ovattato” della politica, se si considera che la stessa vanta una “precoce” carriera politica sin dal lontano 1996, quando all’età di soli 19 anni iniziò la sua militanza politica in Alleanza Nazionale.
Senza nulla togliere ai suoi meriti carrieristici, probabilmente questo suo brillante e precoce percorso politico le ha permesso di vivere per così dire “al riparo”, lontana cioè dalle insidie e dalla precarietà del mercato del lavoro dell’altro mondo parallelo, quello “reale” dei comuni mortali, dove il lavoro, quello stabile e a lungo termine, possibilmente non sottopagato e non precario, in Italia non te lo garantisce nessuno, a meno che non si abbia qualche santo in paradiso.
Ergo nel mondo reale la definizione di “occupabile” coniata dalla Premier diventa una mera astrazione, un requisito che in un mercato del lavoro come quello attuale, usando un eufemismo, è sostanzialmente un “nonsense”.