Alle parole del procuratore Mohammad Jafar Montazeri che avevano fatto ipotizzare la cancellazione della cosiddetta polizia religiosa e una riforma della legge sugli obblighi in materia di abbigliamento femminile sono seguiti due giorni di silenzio. Dall’esecutivo guidato da Ebrahim Raisi non è arrivata alcuna conferma, anzi: gli organi d’informazione statali come la tv Al Alam hanno specificato come l’attenzione delle testate internazionali sulle sue affermazioni non sia altro che “un tentativo di far passare le dichiarazioni del procuratore come il segnale di un arretramento della Repubblica Islamica in materia di hijab e castità”. A rompere il silenzio non è un membro dell’esecutivo, ma un rappresentante dell’ala più conservatrice del Parlamento iraniano, vicina al governo e alla Guida Suprema Ali Khamenei: l’obbligo di indossare il velo non è in discussione e le pene saranno anche più severe, ma cambieranno i metodi di controllo, con le pattuglie della polizia morale che verranno sostituite da comunicazioni via sms.
Lo ha spiegato Hossein Jalali, membro della commissione Cultura del Parlamento, che ha anticipato i cambiamenti ai quali si sta lavorando: l’inasprimento delle pene riguarda i conti bancari delle donne che non portano il velo e che, in caso di violazione della legge, saranno bloccati. I controlli non saranno più affidati, però, alle tanto contestate pattuglie della polizia morale, finite al centro di questi oltre due mesi di manifestazioni dopo la morte in custodia della 22enne Mahsa Amini dopo l’arresto per aver indossato male il velo. Le persone che violano la legge non verranno più fermate e arrestate dagli agenti per strada, ma saranno avvisate tramite messaggi prima di passare alle punizioni più severe. “Non ci sarà alcun ritiro dal piano dell’hijab perché il ritiro significa il ritiro della Repubblica islamica”, ha affermato.
Il governo, quindi, cerca di offrire deboli risposte ai manifestanti ma, allo stesso tempo, si chiude in un rigorismo che rende ancora più dura la repressione, non fisica ma economica, nei confronti dei dissidenti. A Teheran hanno compreso che l’obiettivo dei manifestanti è quello di rovesciare il regime degli ayatollah e che una concessione sull’hijab obbligatorio non sarebbe sufficiente a far sparire la gente dalle piazze di tutto il Paese, nelle quali si invoca la caduta della dittatura e si protesta anche per la gestione della crisi economica. Così non cede su un principio che, se eliminato, rischierebbe di creare un terremoto anche negli ambienti principalisti che sostengono l’esecutivo, limitandosi a togliere dalle strade quello che è sempre più visto come un simbolo della repressione, ossia la polizia morale.
Le novità saranno tutte contenute nel piano statale, noto come “Efaf (castità) e Hijab”, che sarà pronto in due settimane e prevederà “misure punitive più moderne e precise contro l’abbigliamento improprio”. “Quando sarà operativo – aggiunge Jalali – la Gasht-e Ershad (la polizia morale, ndr) sarà sostituita da nuove misure. Ad esempio, le donne che non indossano l’hijab riceveranno prima notifiche via sms, poi avvertimenti e in una terza fase il loro conto bancario potrebbe essere bloccato”.
Parole che non spostano di un millimetro le posizioni dei manifestanti, come previsto. Dimostrazioni antigovernative si sono tenute nella notte in varie città iraniane dopo che attivisti avevano indetto tre giorni di sciopero, a partire da lunedì, per portare avanti la protesta iniziata quasi tre mesi fa. Alcuni video diffusi sui social media da attivisti mostrano soprattutto dimostrazioni pacifiche, con gruppi di donne e uomini che gridano slogan contro la Guida suprema Ali Khamenei nelle vie di alcune città, ma in alcuni filmati si vedono anche manifestanti appiccare il fuoco in mezzo alla strada per bloccare il traffico o lanciare oggetti contro edifici. Oltre alla capitale Teheran, le proteste si sono tenute a Kuzaran, Karaj, Mashad, Rasht, Shiraz e Arak.