Quando si dice cambiare di continuo per rimanere se stessi. E stupire, magnificare, terrorizzare con un cinema magistrale, sempre innovativo, sperimentale ma contestualmente ben agganciato alle criticità del presente. Chi ne conosce sguardo e talento ha già capito che si sta parlando di Steven Soderbergh, il cui Kimi è passato ieri nel fuori concorso del 32° Noir in Festival in corso a Milano (3-8 dicembre). Opera prodotta da New Line per HBO vista per ora solo negli States e poco altrove, arriverà per il pubblico italiano prossimamente su Sky e Now, e dunque la programmazione al festival dedicato al cinema noir (con tutte le sue declinazioni ed estensioni..) è stata quanto mai benvoluta e opportuna, trattandosi probabilmente di una delle poche occasioni di vederla sul grande schermo. Una visione adatta a questo cinema potente, capace di portare lo spettatore nelle angosce di un labirinto paranoico ancor prima di esserne consapevole. Per così dire un “antipasto” inquietante al sicuramente più solar-crepuscolare Magic Mike – The Last Dance, ancora inedito e previsto in uscita a febbraio 2023.
Kimi è una marca inventata di un dispositivo di intelligenza artificiale simile ai “nostri” Alexa o Siri. Angela Childs (una prodigiosa Zoe Kravitz) è una giovane programmatrice assunta presso la multinazionale informatica Amygdala che lavora da casa perché soffre di una grave forma di agorafobia, peggiorata dal recente e lungo lockdown da Covid-19. Mentre “ascolta” le stringhe audio dei clienti tracciate sui dispositivi casalinghi al fine di correggere gli errori ed “educare” così linguisticamente e culturalmente i robot Kimi, s’imbatte in un dialogo cui sembra sottendere una violenza di stampo criminale. Se ciò sia reale o finto, vero o falso non è questa la sede per rivelarlo né deciderlo, di certo però è la sede per celebrare il valore di un film girato effettivamente durante la clausura pandemica e sorta di dittico con Unsane (2018), avendo entrambi due giovani donne come protagoniste che in solitudine si trovano a combattere un sistema che le sovrasta e le controlla, e soprattutto le vuole mentalmente disturbate.
Il controllo sull’essere umano da parte di un’istituzione monstre di natura politica, sociale e/o economica è – infatti – uno dei grandi temi di Soderbergh, a cui si unisce la riflessione sulla paranoia, sulle nevrosi e psicosi, quale forme di alterazione cognitiva capaci, però, di arrivare alla verità. Il tutto sempre declinato in formule narrative e generi cinematografici differenti, o tra loro mescolati. In questo caso l’impianto drammaturgico ma anche formale richiama quello di Black Mirror (di fatto Kimi potrebbe essere un episodio dell’acclamata serie britannica) ma se ne distanzia per portata cinematografica propriamente soderberghiana e per i continui twist che si avvicendano nel film. Un testo radicale sul valore del guardare (non poche citazioni dall’hitchcockiano La finestra sul cortile) nell’era pandemico-digitale e dell’ascoltare, dunque sull’attenzione al dettaglio, sulla lotta tra fisicità e virtualità ovvero tra il digitale e l’analogico, laddove la determinazione dell’essere umano di prevalere sulla “macchina” diventa qui riflessione peculiare.