Budapest ricatta Bruxelles a spese di Kiev. L’Ungheria ha posto oggi il suo veto sul pacchetto di aiuti da 18 miliardi di euro per l’Ucraina, costringendo la Commissione europea e gli altri paesi dell’Ue a cercare una soluzione alternativa per garantire al paese in guerra le risorse di cui ha bisogno già a gennaio. Lo stop di Budapest è legato al possibile congelamento di 7,5 miliardi di euro di fondi europei che dovrebbe ricevere e che Bruxelles minaccia di trattenere per le violazioni ai diritti fondamentali implementate dal governo di Viktor Orbán. Nei suoi 12 anni di guida del paese il premier ha avuto periodici e aspri scontri con l’Ue su materie come i diritti degli omosessuali e dei migranti oltre che sui controlli disposti per ong, accademici, tribunali e media.
Il veto ai trasferimenti per l’Ucraina è stato confermato dal ministro ungherese Mihaly Varga nel corso del vertice Ecofin dei ministri dell’economia dell’Ue. “L’Ungheria considera un pericoloso precedente il fatto che il pagamento dei fondi Ue all’Ungheria sia legato ad altre questioni completamente estranee” ha affermato Varga. La Commissione “mantiene il blocco dei pagamenti, nonostante il governo ungherese abbia rispettato pienamente gli impegni assunti entro novembre in 17 casi richiesti dall’Ue”, ha aggiunto il ministro ungherese, precisando: sui prestiti all’Ucraina e la minimum tax “la posizione dell’Ungheria è in linea con i suoi interessi nazionali”.
Il ministro della Lituania Gintare Skaiste ha definito “immorale” l’atteggiamento di Budapest. “Non ci scoraggeremo. Il nostro obiettivo rimane quello di iniziare ad inviare i soldi all’Ucraina a gennaio”, ha affermato il ministro delle finanze della Repubblica ceca Zbynek Stanjura. “Ciò significa che cercheremo una soluzione sostenuta da 26 stati membri”, senza l’Ungheria, ha aggiunto. La Commissione dovrebbe quindi percorrere la strada della cosiddetta cooperazione rafforzata, un iter concepito per evitare i veti. Questa opzione richiede però ai paesi dell’UE di fornire garanzie di bilancio che, in alcuni casi, necessitano dell’approvazione parlamentare, con conseguente allungamento dei tempi.I governi dell’Ue hanno tempo fino al 19 dicembre per esprimersi sul congelamento dei fondi dell’Ue per l’Ungheria. Orbán deve far adottare il suo piano di ripresa entro la fine dell’anno o rischia di perdere il 70% dei 5,8 miliardi di euro di sovvenzioni. Francia e Germania sarebbero però disposte a fare qualche concessione a favore di Budapest.
Il veto ungherese ha comportato anche il rinvio di altre questioni all’ordine del giorno tra cui l’aliquota minima sulle multinazionali. Il ministro dell’Economia italiano Giancarlo Giorgetti “ha chiesto agli ungheresi il via libera alla global minimum tax” e ha evidenziato “l’importanza di lavorare fino all’ultimo per una soluzione positiva”, rende noto il ministero dell’Economia in una nota. Alla riunione dei ministri è arrivata una nuova proposta di price cap sul gas, messa a punto dalla presidenza ceca. Si tratterebbe di un tetto al prezzo statico a 220 euro per megawatt ora (circa il doppio delle quotazioni attuali) che scatta se il prezzo del gas supera questa soglia per cinque giorni consecutivi. Rispetto alla proposta della Commissione il tetto scenderebbe quindi da 275 a 220 euro. Nel documento si prevede inoltre che il divario del Ttf con gli indici di riferimento per il gas liquefatto (gnl) dovrà essere di 35 euro (e non più 58) per 5 giorni consecutivi. “Dobbiamo raggiungere un accordo tecnico che va trovato nei prossimi giorni per evitare che il tetto che porti a una corsa al rialzo e che prevenga i picchi di costi”, ha detto oggi il presidente francese Emmanuel Macron.