La pubblicazione annuale del rapporto Censis è un evento mediatico che spesso non corrisponde al valore reale del Rapporto. Perché talvolta la famosa analisi sociologica del noto istituto di ricerca è caratterizzata da cliché e luoghi comuni. Quest’anno, però, i contenuti mi hanno invece positivamente stupito. Non solo: quello che degli italiani ha rivelato l’istituto è molto importante anche per chi si occupa di cambiamento climatico e ambiente.
Cosa ci dice il Censis su questo? Anzitutto, che gli italiani sono intrisi di scetticismo e di malinconia e, anche, di un sentimento di impotenza. Si sentono schiacciati dalle crisi globali in corso, rispetto alle quali si sentono di non poter fare quasi nulla. Dal Covid alla crisi energetica, dalla guerra alla crisi climatica. E in effetti così è, almeno in buona parte, visto che le nuove, drammatiche dinamiche globali oltrepassano di gran lunga i confini nazionali. Così aumenta il senso di esposizione e di vulnerabilità. Che spiega anche, come nota il Censis, l’incomprensibile assenza di manifestazioni di piazza, proprio quando i problemi aumentano esponenzialmente.
D’altronde, anche i più benestanti o quelli che hanno un lavoro solido sono consapevoli che eventi esterni traumatici potrebbero rovesciare le carte in tavola, che si potrebbe improvvisamente passare da una condizione di benessere al suo opposto. Tanto più teme il ceto medio e chi è economicamente più fragile. L’ansia per gli italiani è quella economica, la paura di non arrivare a fine mese, il terrore di una inflazione incontrollata, il timore di dover passare una vecchiaia povera, di ammalarsi e non avere abbastanza soldi.
Il rifiuto, positivo, dell’ostentazione della ricchezza
E poi, altro dato interessante del rapporto, c’è la questione delle diseguaglianze, legata proprio all’aumento dell’incertezza globale. Sempre più gli italiani fanno fatica a tollerare non solo le ingiustizie, ma anche l’esibizione della ricchezza, come quella degli influencer, o come l’utilizzo dei jet privati, che curiosamente entrano nel rapporto come simboli, appunto, di ostentazione. Gli italiani dichiarano che non hanno intenzione di fare sacrifici per raggiungere una ricchezza forse impossibile. E anche sul lavoro, rinunciano in parte a fare carriera, se questa implica una fatica improba. La risposta a tutto ciò è il rifugio nel privato, il circoscrivere un perimetro piccolo sul quale almeno si sente di avere il controllo. Per non impazzire di ansia e incertezza. Da questo punto di vista, interessante anche che molti italiani abbiano smesso di leggere i giornali, come anche di votare. L’astensione cresce a livelli record.
Cosa ci dice tutto questo rispetto al clima? Che per gli italiani si tratta di una questione rispetto alla quale l’impotenza è totale. Che cosa d’altronde potrebbero fare rispetto alle notizie sull’apocalisse imminente? Sull’aumento di eventi estremi come siccità e alluvioni? In verità, qualcosa si potrebbe fare, perché le azioni di ogni singolo contano. Ma è pur vero che quella del clima è un crisi di sistema e come tale dovrebbe essere trattata. Interessante anche, per l’ambiente, il rifiuto crescente delle diseguaglianza. Anche qui, gli italiani sono stufi di chi consuma e inquina, mostrando tutto questo sui social in una spirale di narcisismo incontrollato e dannoso. Questo rifiuto è positivo, perché una maggiore consapevolezza delle disparità e uno stigma sociale verso la ricchezza sono importanti per una riduzione dei consumi o, quanto meno, per il ritorno a una maggiore sobrietà esterna, comunque positiva rispetto alla ormai insopportabile cafonaggine dei ricchi di ogni latitudine.
La politica dovrebbe rassicurare e tutelare
Se la politica fosse una politica con la P maiuscola, leggerebbe questo rapporto con attenzione. Capirebbe che un elemento fondamentale dell’azione, e della comunicazione politica, sarebbe quello di rassicurare e, al tempo stesso, prospettare tutele, reti di protezione per le persone, sia per i poverissimi che per il ceto medio. Da questo punto di vista, la polemica sul reddito di cittadinanza non aiuta. Perché se pure le distorsioni di questa misure vanno modificate, ma soprattutto attraverso un sistema ingente di controlli, dall’altro, come auspicato dalla commissione guidata da Chiara Saraceno, il reddito andrebbe semmai esteso a chi ne è privo.
Un’altra misura importante, per contrastare l’astensionismo e lo scetticismo, sarebbe un investimento potente su istruzione e ricerca. Invece il governo vuole accorpare gli istituti visto che gli studenti sono meno, sia nella scuola nell’obbligo che all’Università. C’è una fame di sapere in Italia che si scontra con la burocrazia universitaria, le tasse alte, i corsi impossibili da seguire per studenti lavoratori. Ma una persona respinta dal sistema formativo sarà per sempre scettica e rabbiosa, oltre che più facilmente disoccupata. Una politica degna di questo nome dovrebbe anche riflettere maggiormente quando decide senza battere ciglio di inviare armi, mettendo il segreto su quali armi sono inviate, per una guerra che gli italiani non vogliono. Che almeno ci sia più trasparenza, che si passi per un dibattito parlamentare, specialmente quando chi è premier fino a ieri gridava contro la nostra partecipazione al conflitto.
Se i media aumentano ansia e incertezza
Infine una parola sui media: spetta anche a loro rassicurare e tutelare gli italiani, pur non essendo politica. Questo lo si fa con una informazione migliore, meno ansiogena, che schiacci meno il lettore sull’impotenza, perché così finirà per non leggere più. Sul clima ciò è emblematico, visto che siamo passati dall’indifferenza alla cronaca delle sciagure senza che si indichino vere soluzioni. Sarebbe meglio anche qui tracciare un perimetro e cercare di fare informazione su quello, anche se la crisi è globale. Ma che si possa restituire alle persone il senso delle battaglie. Che si possa restituire alle persone la consapevolezza che si può fare, si può agire.
Non ci vorrebbe in verità tantissimo. Per quanto riguarda i media, più cura delle parole, degli articoli, dei titoli, del registro, dei temi scelti. Per la politica, soprattutto, una cura maggiore che passi dal territorio. Oggi alle persone basterebbe poco: vedere che le piante del quartiere non soccombono all’incuria, che chi con violenza occupa strade e marciapiedi con tavolini, assurdi arredi, cianfrusaglie venga sanzionato, che le strade non siano sfasciate, l’illuminazione soddisfacente, i servizi essenziali a portata di mano. I cittadini non chiedono la luna. Ma anche quel poco che vorrebbero gli viene negato.
Facile, anzi facilissimo, cadere nella malinconia. Facile pensare che qualunque manifestazione sarebbe inutile, tanto nulla cambia. E allora meglio vedersi a casa una serie on demand, e cercare di non pensare. Il Censis lo chiama post-populismo. Ma è, appunto, un fallimento sia della politica che dell’informazione.