Oltre finti rapporti di lavoro venivano stipulati anche finti contratti d’affitto. Tutto questo per ottenere anche prestazioni economiche dall’Inps e dall’Agenzia delle entrate, sotto forma di reddito di cittadinanza, indennità di maternità, bonus baby sitter, bonus fiscali, bonus e sostegni al reddito in relazione al "Covid"
Assumevano stranieri per fargli ottenere o rinnovare dei permessi dei soggiorni attraverso imprese e società inattive. Un’operazione della Guardia di Finanza di Torino questa mattina ha portato all’arresto di sette persone, tre egiziani, un romeno, due italiani e un bengalese, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa aggravata in danno dello Stato, falsità ideologica e la sostituzione di persona. Le Fiamme gialle, coordinate dalla Dda, hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del Tribunale: tre in carcere e quattro agli arresti domiciliari. Sequestrati circa 150mila euro e messo i sigilli a due Centri di Assistenza Fiscale. L’inchiesta denominata ‘Terra Promessa’, iniziata nei primi mesi del 2020, ha fatto luce su un gruppo che operava, da almeno dieci anni, principalmente su Torino, ma che aveva ramificazione anche in altre province piemontesi.
Oltre finti rapporti di lavoro venivano stipulati anche finti contratti d’affitto. Tutto questo per ottenere anche prestazioni economiche dall’Inps e dall’Agenzia delle entrate, sotto forma di reddito di cittadinanza, indennità di maternità, bonus baby sitter, bonus fiscali, bonus e sostegni al reddito in relazione al “Covid”, Naspi e rimborsi Irpef. In particolare dalle indagini è emerso come i componenti del gruppo per queste operazioni utilizzassero due Caf di Torino, con uffici realmente operanti, che secondo gli inquirenti erano punti di riferimento dell’attività illecita, erano conosciuti nell’ambito delle comunità cui essi si rivolgevano (principalmente quella di etnia egiziana, ma anche bangladese, senegalese, pakistana e nepalese).
I cittadini stranieri per regolarizzare la propria posizione sul territorio nazionale pagavano circa mille euro a pratica. Gli investigatori hanno individuato 65 false posizione lavorative (braccianti agricoli o collaboratori familiari), oltre 600 certificazioni uniche non veritiere, per un ammontare di oltre 6,5 milioni di euro. Le assunzioni fittizie avrebbero, inoltre, generato negli anni, debiti nei confronti dell’Inps per un totale di circa 350 mila euro, dovuti al mancato versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Gli investigatori hanno anche ricostruito i flussi finanziari verso l’estero, tra il 2015 e il 2020, per oltre mezzo milione di euro, che i principali indagati sarebbero riusciti a esportare nonostante i consistenti debiti previdenziali dagli stessi accumulati.