Stando alle veline di Palazzo Chigi, la premier incontrando i capigruppo ha detto che "se i costi fossero a carico dei cittadini nessuno pagherebbe un caffè tramite pos". Ma per le microtransazioni le grandi banche e i circuiti di pagamento hanno già azzerato le commissioni
Giorgia Meloni torna a difendere lo stop all’obbligo di pos per le transazioni sotto una certa soglia. Nonostante il tetto di 60 euro inserito nella legge di Bilancio sia ancora in forse, perché le interlocuzioni con la Ue suggeriscono di ridurlo per non violare gli impegni sulla riduzione dell’evasione presi con il Pnrr. A colpire, però, è il fatto che le motivazioni con cui – stando alle veline di Palazzo Chigi – la premier ha rivendicato la decisione parlando ai capigruppo sembrano ignorare la realtà dei fatti. I costi di commissione del Pos sono a carico degli esercenti e non dei cittadini che utilizzano il servizio, ha detto, aggiungendo che “se fossero a carico dei cittadini penso che nessuno pagherebbe un caffè tramite pos“. Ma, come ricordato anche nell’audizione di Bankitalia di lunedì scorso, anche il contante ha un costo. Che per le microtransazioni (come il pagamento di un caffè) supera quello delle commissioni.
I circuiti Nexi e PagoBancomat hanno infatti annullato le commissioni per tutti gli acquisti sotto – rispettivamente – i 10 e i 5 euro fino a dicembre 2023. Intesa Sanpaolo ha azzerato il canone mensile fino a fine 2022 e le commissioni per le transazioni sotto i 15 euro per tutte le piccole medie imprese sempre fino alla fine del prossimo anno. Unicredit ha a sua volta azzerato le commissioni sotto i 10 euro – con scadenza al 31 dicembre – per tutte le imprese con fatturato sotto 5 milioni.
Sul fatto che l’aumento del tetto al contante e l’introduzione di una soglia sotto la quale non c’è l’obbligo di accettare i pagamenti elettronici non abbia alcuna attinenza con l’aumento dell’evasione, poi, le smentite sono una valanga. Tornando alle audizioni sulla manovra, la stessa Banca d’Italia ha ricordato che soglie più alte” per l’utilizzo del contante “favoriscono l’economia sommersa” mentre “l’uso di pagamenti elettronici permettendo il tracciamento delle operazioni ridurrebbe l’evasione fiscale”. Inoltre “i limiti all’uso del contante, pur non fornendo un impedimento assoluto alla realizzazione di condotte illecite, rappresentano un ostacolo per diverse forme di criminalità ed evasione”.
L’Ufficio parlamentare di bilancio a sua volta ha ricordato che “la letteratura economica è pressoché concorde nel ritenere che vi possa essere un legame positivo tra diffusione dell’evasione e utilizzo del contante come mezzo di pagamento. In particolare, essendo non tracciabile, il contante faciliterebbe la cosiddetta evasione “con consenso” nella quale vi è un accordo tra venditore e acquirente nell’occultare parte dei ricavi delle vendite”. E infatti “è rilevabile a livello regionale una correlazione positiva appena superiore allo 0,4 per cento (vedi grafico sotto) tra il valore delle transazioni regolate in contanti e l’incidenza della stima dell’economia non osservata sul valore aggiunto, con alcune regioni, soprattutto meridionali, che si caratterizzano per un elevato uso del contante e una rilevante economia non osservata. È plausibile che la relazione tra contante ed economia non osservata dipenda in parte dal fatto che il contante è utilizzato soprattutto per acquisti di piccoli importi e per beni e servizi riferibili a settori in cui è più elevata la possibilità di evasione”.