di Lorenzo Fassina *

Che il tema della tutela del lavoro non fosse nelle corde del neo insediato governo di destra c’era da aspettarselo: con sconcertante puntualità, alla prima occasione utile (la legge di bilancio), la nuova compagine meloniana ha immediatamente mostrato di che pasta sia fatta. L’articolo 64 del ddl n. 643, infatti, è intervenuto sul “contratto di prestazione occasionale”, espressione che i più ricorderanno come “voucher”, strumento oggetto di mille polemiche in ragione del suo potenziale utilizzo con finalità di precarizzazione del lavoro e di elusione di tutele a favore dei lavoratori.

Un po’ di storia può esserci d’aiuto: il lavoro accessorio occasionale (lavoro tramite voucher) è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 2003 (legge Biagi) con la finalità originaria di regolamentare le attività lavorative di natura meramente occasionale a carattere saltuario e di breve durata svolte da soggetti a rischio di esclusione sociale in alcuni specifici ambiti di attività.

Tuttavia, nel corso degli anni, il lavoro accessorio, attraverso numerosi interventi legislativi che ne hanno ampliato a dismisura le possibilità di utilizzo, è stato trasformato in un’ulteriore tipologia contrattuale precaria, utilizzata in luogo dei tradizionali contratti di lavoro in importanti settori produttivi, con l’aggravarsi di fenomeni elusivi delle norme sul lavoro subordinato, soprattutto in assenza di un adeguato sistema di controlli.

Proprio per tali ragioni nel 2016 la Cgil propose un referendum che, dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale nel 2017, non si svolse perché l’allora governo Gentiloni abrogò la norma incriminata, salvo poi reintrodurre proditoriamente (con il dl n. 50/2017) il “contratto di prestazione occasionale” che ora la destra vuole potenziare, perpetuando quella “truffa” contro cui l’Organizzazione sindacale decise di manifestare pubblicamente in piazza nel giugno 2017.

Nel contempo – occorre ricordarlo – la Cgil, nel ddl di iniziativa popolare supportato da milioni di firme (la Carta dei diritti), all’articolo 80 intendeva ridisciplinare il lavoro accessorio riportandolo alla sua originaria funzione, limitandolo di fatto a prestazioni di “lavoro subordinato” effettivamente occasionali ed estendendo anche a questa tipologia contrattuale tutti i diritti e le tutele previste dalla prima parte della “Carta” stessa. Sta di fatto che il legislatore, dimenticando colpevolmente nel cassetto la proposta della Carta dei diritti, ha mantenuto i voucher (sotto le mentite spoglie del “contratto di prestazione occasionale”) perpetuando alcuni degli elementi di criticità propri di una forma contrattuale profondamente precaria: manca infatti una limitazione delle attività occasionali accessorie; i limiti annui complessivi ai compensi e alle ore lavorate, che indirettamente definiscono l’occasionalità e l’accessorietà della prestazione, sono sforniti di sanzioni e possono essere aggirati, come in passato, da un uso sistematico del turn-over; assenza di limitazioni alle mansioni cui possono essere chiamati i lavoratori occasionali.

Di più, al committente è consentita la revoca, ossia la possibilità di comunicare all’Inps, entro tre giorni da quello programmato per lo svolgimento della prestazione, che detta prestazione non ha avuto luogo e così bloccare il relativo pagamento, favorendo così prestazioni “in nero” da parte dell’utilizzatore della prestazione.

A fronte di questa situazione, il governo Meloni, mantenendo pressoché inalterato il criticabile sistema definito dal dl 50/2017, amplia la possibilità di utilizzo del lavoro occasionale da parte delle imprese (il tetto per utilizzatore sale a 10.000 euro), amplia in modo considerevole l’utilizzo in agricoltura (settore molto vulnerabile in cui i contratti già oggi garantiscono assunzioni anche di brevissima durata), allarga la platea delle imprese che possono farne uso (tutte quelle con meno di 10 dipendenti a tempo indeterminato), elimina i requisiti soggettivi che avevano limitato la platea dei lavoratori in agricoltura, supera alcuni divieti di utilizzo nei settori.

Quali siano oggi le reali intenzioni del governo lo si legge, senza alcun timore di essere smentiti, nella relazione tecnica alla legge di bilancio: se è vero che “la proposta normativa ha carattere espansivo per quanto concerne l’utilizzo dei contratti di prestazione occasionale (…), aver reso meno stringenti i limiti d’importo, i limiti di forza lavoro e l’aver introdotto maggiore flessibilità per il settore agricolo attirerà maggiori prestatori d’opera”, cannibalizzando contratti maggiormente tutelanti (lavoro a tempo determinato, lavoro stagionale).

In definitiva, per una quota di lavoro precario e discontinuo si interviene non nella direzione di come determinare maggiori tutele ma attraverso una spostamento, un travaso, verso il lavoro occasionale, che è una forma ancora più precarizzante e ancora meno corredata di tutele, sia dal punto di vista delle prestazioni che dal punto di vista previdenziale: nulla a che vedere con le pur tanto sbandierate finalità di emersione dal lavoro nero (risultato che, alla prova dei fatti, mai è stato raggiunto).

Il messaggio politico è chiaro: più precarietà e meno tutele, nella perdurante volontà di assecondare una classe imprenditoriale che vive da ormai troppo tempo nella nefasta convinzione di poter sopravvivere alle sfide del sistema economico puntando sulla svalutazione del lavoro anziché sulla sua valorizzazione.

*Responsabile Ufficio giuridico e vertenze legali CGIL nazionale

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