La manovra proroga fino a giugno 2023 l’agevolazione che permette di limitare al 14% (anziché al 26% previsto per i redditi da capitali) la tassazione sulle plusvalenze su terreni e partecipazione, estendendola anche ad azioni e titoli sui mercati finanziari, nonché a risparmi e patrimoni in fondi e polizze assicurative sulla vita. Come anticipato da un articolo del Corriere della Sera, nel 2023 si attendono circa 1,5 miliardi di eeuro di entrate da questa misura che, di fatto, proroga e amplia l’agevolazione prevista dal dl bollette di marzo incentivando a pagare in questa finestra.

La vera novità è l’estensione dell’agevolazioni alle plusvalenze realizzate con investimenti finanziari. Di cosa si parla? Oggi se si effettua un’investimento in azioni o in un fondo comune, etc, si paga un’imposta del 26% sugli eventuali guadagni realizzati. Il prelievo avviene nel momento in cui le azioni (o le quote di fondi comuni) vengono vendute. Esempio: se ho investito 10mila euro in un fondo la mia partecipazione ha raggiunto un valore di 11mila euro (quindi con un guadagno di 1.000 euro), quando le rivendo pagherò 260 euro all’erario. La norma introdotta in legge di bilancio mi offrirebbe invece la possibilità di pagare (anche senza vendere la partecipazione) una tassa ridotta al 14%, purché il versamento avvenga entro il prossimo settembre. Torniamo all’esempio. La mia partecipazione ora vale 11mila euro se aderisco alla possibilità offerta in legge di bilancio pagherò 140 euro (il 14%) senza venderla. A quel punto la mia partecipazione viene però rivalutata a 11mila euro, da questa cifra si partirà per fare i calcoli di eventuali successive plusvalenze. Esiste una interpretazione più restrittiva della norma, ovvero quella secondo cui il 14% si applica a tutta la somma e non solo all’utile. In tal caso naturalmente la convenienza verrebbe molto ridotta, esistente solo in caso di fortissimi guadagni. La norma non è molto chiara ma gli introiti attesi dal governo mal si conciliano con un’interpretazione così minimale.

La convenienza della misura è evidente in alcune circostanze, ad esempio se si è in guadagno e si ha comunque intenzione di vendere a breve. Meno in altre. Se la mia intenzione fosse quella di mantenere ancora a lungo la partecipazione non è invece detto che la scelta sia vantaggiosa. La plusvalenza potrebbe ridursi nei periodo successivi fino ad azzerarsi o tramutarsi in minsuvalenza. La somma finale da versare sarebbe quindi inferiore in valori assoluti anche con un’aliquota al 26%. La norma è scritta in modo piuttosto ambiguo e confuso, non si capisce bene ad esempio cosa accada ai titoli di Stato, su cui il prelievo è di un più modesto 12,5%, che rende del tutto inutile la possibilità offerta dalla legge di bilancio. Inoltre il passaggio “E non si dovrà più pagare il 26% sui redditi da capitale, quando in seguito l’investimento verrà venduto” compare solo in uno dei due articoli, il 27 (fondi e polizze) e non nel 26 che concerne le azioni. Da queste misure il governo pensa in ogni caso di poter incassare 1,5 miliardi di euro, soldi che verrebbero monetizzati subito e dunque sottratti all’alea del futuro andamento dei mercati. Quello che è certo è che la norme offre la possibilità di risparmiare dei soldi alle fasce più abbienti della popolazione. Qui infatti si concentra la quasi totalità degli investimenti in azioni e prodotti finanziari.

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