Il colpo di Stato tentato dal presidente peruviano Pedro Castillo si è concluso con un sostanziale fallimento e segna, con tutta probabilità, la conclusione della sua breve parabola politica. Castillo, un’ex insegnante di scuola elementare e membro del partito marxista-leninista Perù Libero, si era imposto al primo turno delle elezioni generali del 2021 sorprendendo gli osservatori internazionali ed aveva poi sconfitto al ballottaggio l’esponente della destra Keiko Fujimori. Le cose, però, non erano andate altrettanto bene alle elezioni parlamentari, svoltesi contemporaneamente alle presidenziali, dove i partiti della destra moderata e radicale si erano aggiudicati ben 80 seggi di 137, una maggioranza schiacciante che ha messo continuamente i bastoni tra le ruote al presidente e che per ben tre volte ha tentato di rimuoverlo con l’impeachment.

I deputati peruviani hanno votato a larghissima maggioranza (101 voti) per rimuovere Castillo e insediare al suo posto la vice presidente Dina Boluarte. Il tutto è avvenuto dopo che il capo di Stato aveva provato a sciogliere il Congresso, annunciando elezioni parlamentari anticipate e il possibile varo di una nuova Costituzione. Il mandato del presidente è stato contrassegnato, sin dal luglio 2021, da problemi e instabilità. A sottolinearlo ci sono le dozzine di ministri nominati, rimpiazzati, licenziati e le cinque indagini a suo carico che lo vedono accusato, tra le altre cose, di aver usato la sua posizione per ottenere benefici per se stesso e per la propria famiglia. Castillo aveva accusato il Procuratore Generale Patricia Benavides di averlo perseguitato e di aver tentato “un colpo di Stato giudiziario” contro di lui. Il Procuratore aveva reagito schierandosi con il Parlamento.

Il presidente peruviano, come chiarito da World Politics Review, ha commesso una serie di errori che hanno facilitato il compito dell‘opposizione e lo hanno portato a scavarsi la fossa (politica) da solo. La promessa di non formare un esecutivo di sinistra radicale se eletto è stata infranta con la nomina come primo ministro del marxista-leninista Guido Bellido, poi sostituito dalla più moderata Mirtha Vasquez. Castillo è comparso in un video in cui lo si vedeva entrare in un palazzo con una lobbista di una compagnia di costruzioni che, poco dopo, si è aggiudicata un appalto da 64 milioni di dollari. Il capo di Stato, che non ha mai rilasciato interviste né indetto conferenze stampa, si è difeso respingendo le accuse. Il suo tasso di popolarità è collassato, anche per la cattiva gestione del Covid, per gli scioperi nelle regioni minerarie e per i problemi economici, sino al 25%.

Il Perù, dopo la lunga presidenza autoritaria di Alberto Fujimori tra il 1990 e il 2000, non ha avuto un capo di Stato che non abbia avuto problemi di corruzione, che non sia stato rimosso o che non abbia lasciato il Paese. Tra questi ci sono Alejandro Toledo, al potere tra il 2001 ed il 2006, Alan Garcia (2006-2011), Ollanta Humala (2011-2016), Pedro Pablo Kuczynski (2016-2018), Martin Vizcarra (2018-2020), Manuel Merino (appena 5 giorni nel 2020) e Francisco Sagasti (2020-2021). Si tratta di un quadro preoccupante e un chiaro segnale di un problema profondo. Negli ultimi 30 anni, nella nazione latinoamericana, sono collassati i partiti tradizionali e si sono formati gruppi politici di destra e di sinistra molto frammentati, incapaci di porre rimedio ai veri problemi del Paese. Le crisi del Perù sono costanti e ciò rischia di far implodere la democrazia.

L’organizzazione non governativa Freedom House, che monitora il rispetto dei diritti civili e politici in tutti i Paesi del mondo con un report annuale, ha assegnato al Perù, nel 2022, lo status di nazione libera ( le alternative sono parzialmente libera e non libera) ma ha evidenziato la presenza di alcune problematiche. L’apparato giudiziario è ritenuto l’istituzione più corrotta del Paese da parte della popolazione, le garanzie costituzionali per un equo processo vengono applicate in maniera selettiva e i più poveri si vedono assegnare avvocati d’ufficio poco competenti, gli abusi commessi dalle forze di sicurezza vengono raramente puniti e lo stesso vale per i crimini commessi contro gli attivisti ambientali. Le agenzie governative non operano sempre in maniera aperta e trasparente mentre i giornalisti sono sottoposti, con frequenza, a intimidazioni e atti di violenza.

Il Perù è una nazione ricca di risorse minerarie che contribuiscono alla formazione del 10% del Prodotto Interno Lordo e che nel 2021 hanno fruttato oltre 27 miliardi di dollari in esportazioni. La nazione è la seconda produttrice mondiale di argento, rame e zinco, la prima produttrice latinoamericana di oro e non mancano riserve significative di litio. Gli investitori internazionali sono interessati allo sviluppo del settore e gli Stati con maggiori partecipazioni in loco sono, rispettivamente, Regno Unito, Cina, Canada, Stati Uniti e Messico. Le potenzialità dell’industria minerarie sono ridotte a causa dell’instabilità politica, dei conflitti sociali, dell’eccessiva burocrazia, dei problemi ambientali e della mancata redistribuzione dei proventi alle popolazioni locali.

Negli ultimi 30 anni il tasso di povertà del Perù si è ridotto del 30% grazie a una discreta crescita economica e all’implementazione di programmi di welfare sociale che hanno portato a un miglioramento della qualità della vita dei più poveri e della classe media. Questi passi in avanti si sono però limitati alle aree urbane e hanno visto quelle rurali, più povere è geograficamente isolate, rimanere ai margini e continuare a essere preda del circolo vizioso della miseria.

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