Il pm di Napoli Paolo Itri aveva vinto il ricorso al Consiglio di Stato contro Cesare Sirignano, che nel 2015 era stato nominato alla Dna al suo post. Il plenum di mercoledì ha rivalutato i due magistrati e con un margine strettissimo ha stabilito che la scelta di allora fu corretta. Nel frattempo Sirignano era stato trasferito per incompatibilità ambientale
Ha vinto il ricorso al Consiglio di Stato, ottenendo l’annullamento della nomina alla procura nazionale antimafia del magistrato che gli era stato preferito nel 2015. Lo stesso magistrato che successivamente era stato trasferito d’ufficio dal Csm per incompatibilità e condannato a livello disciplinare in relazione al caso Palamara. Eppure Palazzo dei marescialli ha deciso di confermare la scelta di 7 anni fa, con una delibera che ha diviso il plenum e che è passata con lo scarto di due soli voti.
Protagonista del caso il pm della procura distrettuale antimafia di Napoli Paolo Itri, che ha condotto importanti indagini sulla strage del rapido 904 e che secondo il Consiglio di Stato aveva più titoli del concorrente Cesare Sirignano. Il plenum di mercoledì ha rivalutato i due magistrati e con un margine strettissimo ha stabilito che la scelta di allora fu corretta. La conseguenza non sarà l’immediato ritorno in via Giulia di Sirignano, che ora è in servizio alla procura di Napoli Nord: da Palazzo dei marescialli fanno sapere che il pm tornerà alla Dna solo se la giustizia amministrativa dovesse annullare il suo trasferimento d’ufficio deciso dal Csm nel 2020, che resta efficace , ma è non ancora definitivo, visto che è ancora appellabile. Per ora il Tar del Lazio gli ha dato torto, ma Sirignano potrebbe impugnare la decisione davanti al Consiglio di Stato.
Mai indagato nell’inchiesta di Perugia, Sirignano era vicinissimo a Palamara tanto da definirlo il suo “dominus” per le questioni di corrente. Il 7 maggio del 2019, quando era sostituto alla procura nazionale antimafia, il magistrato campano aveva ricevuto alcuni messaggi da Palamara. Secondo il pm finito sotto inchiesta l’allora procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho non doveva “fare il gruppo con Nino di Matteo”. Il riferimento era al pool di magistrati creato all’interno della Dna per indagare sui possibili mandanti esterni delle stragi. Dopo meno di 20 giorni ecco che Di Matteo viene effettivamente rimosso da quel gruppo dallo stesso Cafiero de Raho, che lo accusava di aver interrotto il “rapporto di fiducia con le direzioni distrettuali antimafia” a causa di un’intervista rilasciata a una trasmissione televisiva. Dichiarazioni pubbliche in cui però Di Matteo non aveva riferito nulla che non fosse già ampiamente noto sulla strage di Capaci. In seguito De Raho aveva fatto marcia indietro, informando il Consiglio superiore della magistratura – che intanto aveva aperto un fascicolo sul caso – di voler reintegrare Di Matteo nel pool che indaga sulle stragi. Risultato? Ora che è quasi finito il suo mandato al Csm, Di Matteo tornerà a indagare sui delitti eccellenti in via Giulia. Dove non troverà più De Raho, che nel frattempo è andato in pensione ed è stato portato in Parlamento dal Movimento 5 stelle.