La cultura russa, da quando è iniziata la guerra in Ucraina, è stata “rimossa” in Occidente. E il Teatro alla Scala di Milano, che ha messo in scena per la prima del 7 dicembre l’opera Boris Godunov è stata una “voce nel deserto”. Il commento arriva direttamente dal Cremlino, e precisamente dal suo portavoce, Dmitri Peskov. “Per quanto riguarda questa rimozione – secondo Peskov – c’è ancora qualche sprazzo di ragionevolezza. In particolare la prima del Boris Godunov che si è svolta questa settimana a Milano, dimostra a mio avviso che non c’è assolutamente bisogno di abolire la cultura russa, che è meravigliosa e fa parte del patrimonio dell’umanità”, ha detto il portavoce di Vladimir Putin in dichiarazioni rese al quotidiano Izvestia citate dalla Tass.

La proposta di censura del console ucraino alla Scala – La scelta di mettere in scena l’opera era già stata aspramente criticata dal console ucraino Andrii Kartysh, che aveva chiesto di non portarla sul palco dell’opera milanese affinché non diventasse strumento di propaganda. Una proposta di censura respinta dallo stesso sovrintendente della Scala Dominique Meyer. “Non facciamo nessuna propaganda a Putin – aveva detto -. Risparmiamoci le polemiche un po’ superficiali, cerchiamo di capire di cosa si tratta con le cellule del cervello, non con la pancia”, aveva dichiarato alla conferenza stampa di presentazione, invitando a leggere il libretto e vedere lo spettacolo. La storia di Boris – che diventa zar dopo aver ucciso bambino l’erede al trono e viene poi dilaniato dai sensi di colpa – “non fa l’apologia di un regime politico ma esattamente il contrario“. Meyer, pur chiarendo di comprendere la posizione del console ma di non condividerla, aveva poi ricordato la “tendenza oggi a cancellare certi titoli, ma io non sono per l’autodafé e non sono pronto a nascondermi quando leggo Dostevskij o Puskin“. Da ricordare che la Scala, allo scoppio del conflitto ucraino, aveva apertamente manifestato la sua posizione, chiedendo al direttore d’orchestra Valery Gergiev una dichiarazione per auspicare una soluzione pacifica, e sostituendolo quando non ha risposto. E ha anche organizzato ad aprile un concerto che ha raccolto 380mila euro e ha accolto nella scuola di ballo dell’Accademia un gruppo di alunne arrivate da Kiev.

“Boicottare i musicisti russi fino alla fine della guerra” – Ma in questi mesi le richieste di censura della cultura russa sono andate molto oltre il caso del Boris Godunov, con l’invito al boicottaggio da parte delle autorità ucraine che, come accaduto per l’opera, si è spesso esteso anche all’Occidente. Da ultimo, il ministro della Cultura ucraino Oleksandr Tkachenko che, alla vigilia della Prima, ha chiesto che le opere dei musicisti russi venissero boicottate nei Paesi Occidentali fino alla fine della guerra. Il che, ha detto, non significa “cancellare Tchaikovsky”, ma “sospendere l’esecuzione delle sue opere fino a quando la Russia non cesserà la sua sanguinosa invasione”. Secondo Tkachenko, si tratterebbe di una scelta giusta in quanto la guerra è “una battaglia di civiltà sulla cultura e la storia” in cui la Russia sta attivamente “cercando di distruggere la nostra cultura e memoria” insistendo sul fatto che i due stati costituirebbero un’unica nazione. Molte figure culturali in Ucraina hanno affermato che lo stato russo sta attivamente strumentalizzando il suo patrimonio artistico durante il conflitto. Ad esempio, alcuni cartelloni pubblicitari nella Kherson occupata dai russi mostravano immagini di Pushkin, con testi che si riferivano al legame del poeta russo con la città.

La stretta sulla Chiesa ortodossa – Il boicottaggio di quanto è riconducibile alla Russia – già iniziato nel 2015, con la messa al bando in Ucraina di 38 libri pubblicati in Russia e scritti da autori nazionalisti come Alexander Dugin, Eduard Limonov e Sergei Glazyev – si è esteso a inizio dicembre anche alla Chiesa ortodossa, con l’annuncio di Zelensky di volere “impedire alle organizzazioni religiose affiliate ai centri d’influenza della Federazione Russa di operare in Ucraina” e la firma di un decreto che prevede sanzioni contro i rappresentanti di quelle organizzazioni, a suo dire “legate” a Mosca. L’osservato speciale pare quel ramo della Chiesa ortodossa ucraina che era ufficialmente legato al Patriarcato di Mosca fino a poco tempo fa: fino allo scorso maggio per l’esattezza, quando ha preso le distanze dalla Chiesa russa dopo le dichiarazioni con cui il Patriarca Kirill – un fedelissimo di Putin – aveva cercato di giustificare l’invasione ordinata dal Cremlino. Una decisione aspramente criticata dalla Chiesa russa e dalle autorità di Mosca, che l’ha bollata come una grave violazione della libertà di culto, mentre per il presidente ucraino il decreto serve a impedire alla Russia di “manipolare gli ucraini e indebolire l’Ucraina dall’interno”. Le autorità di Kiev hanno infatti dichiarato di sospettare che alcuni membri della Chiesa ortodossa ucraina prima fedele a Mosca possano collaborare con la Russia, e nelle ultime settimane i servizi di sicurezza ucraini hanno perquisito diverse parrocchie, nonché l’antico Monastero delle Grotte di Kiev. Sostengono di avervi trovato “letteratura che nega l’esistenza del popolo ucraino, la sua lingua, nonché il diritto stesso dell’Ucraina allo Stato”.

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