Mazzette e regali dal Qatar per influenzare le decisioni del Parlamento europeo. In particolare per difendere la reputazione dei campionati mondiali di calcio. È il centro dell’inchiesta della polizia federale del Belgio che ha portato a un blitz con 16 perquisizioni in diversi Comuni dell’area di Bruxelles. Nella giornata internazionale contro la corruzione, dunque, una maxi indagine sulle mazzette ha terremotato al cuore le istituzioni europee e segnatamente il partito Socialista. Quattro persone sono state fermate e sono sotto interrogatorio: tra loro ci sono l’ex eurodeputato del Pd e di Articolo 1 Antonio Panzeri – ex segretario della Camera del Lavoro a Milano dal 1995 al 2003 e poi parlamentare Ue fino al 2019 – e il sindacalista Luca Visentini, ex dirigente della Uil in Friuli Venezia Giulia che da poche settimane è a capo della Ituc, la confederazione sindacale mondiale (che rappresenta più di 200 milioni di lavoratori). Gli altri due fermati sono Francesco Giorgi, ex assistente parlamentare di Panzeri, e Niccolò Figà-Talamanca, segretario generale della ong No Peace Without Justice. Tra le accuse contestate ci sono “organizzazione criminale”, corruzione e riciclaggio di denaro.
Coinvolta la vicepresidente del parlamento Ue: sospesa dal S&d – Tra le persone coinvolte anche la vicepresidente del Parlamento Eva Kaili, anche lei socialdemocratica, che è stata sentita dagli investigatori nel pomeriggio di venerdì: la sua casa, dice il giornale Le Soir, è stata perquisita. Kaili è stata “fermata per essere interrogata” dalla polizia, ha riferito all’Afp una fonte vicina alle indagini. Il coinvolgimento di Kaili è un passaggio cruciale dell’inchiesta. La politica greca è infatti la compagna di Francesco Giorgi. Essendo Kaili un’eurodeputata in carica, però, gode dell’immunità: l’unico modo per arrestare un eletto, infatti, è coglierlo in flagrante. Kaili in serata è stata sospesa “con effetto immediato” dal gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo. Poche ore prima, già il Pasok, il suo partito in Grecia, aveva invece deciso già per la sua espulsione.
In casa di Panzeri 500mila euro in contanti – La notizia dell’inchiesta è stata anticipata dai giornali del Belgio, in particolare il quotidiano Le Soir e dal settimanale Knack. I vertici dei Socialisti&Democratici, di cui Panzeri ha fatto parte fino ad alcuni anni fa, si sono riuniti d’urgenza nel pomeriggio. “Le indagini – si legge in una nota della Procura brussellese – hanno consentito agli investigatori di mettere le mani su 600mila euro in contanti. Sono state sequestrate attrezzature informatiche e telefoni cellulari, che saranno saranno analizzati nell’ambito dell’indagine. Questa operazione riguarda in particolare gli assistenti parlamentari che lavorano nel Parlamento europeo”. Cinquecentomila euro in contanti sequestrati sono stati trovati nell’abitazione di Panzeri.
In carcere moglie e figlia di Panzeri – Ma essere state coinvolte nell’inchiesta sono anche la moglie e la figlia di Panzeri: Maria Colleoni, di 67 anni, e Silvia Panzeri, di 38. Le due donne sono stare individuate a Calusco d’Adda, in provincia di Bergamo, colpite da un mandato di arresto europeo che dispone il carcere: sarebbero accusate di favoreggiamento. Le donne si trovano ora in prigione a Bergamo. Perquisita anche la sede di Fight Impunity, la ong fondata nel settembre 2019 da Panzeri, che nello stesso anno aveva smesso i panni dell’europarlamentare. La ong è attiva nel campo del rispetto dei diritti umani. Del resto lo stesso Panzeri è stato presidente della sottocommissione Diritti umani del Parlamento Europeo.
Le accuse degli inquirenti – Quella iniziata a luglio 2022 dalle autorità belghe e coordinata dalla procura federale è un’inchiesta che sta provocando un terremoto senza precedenti all’interno dei palazzi delle istituzioni europee. Un caso di corruzione e riciclaggio di denaro che, se venissero dimostrati legami ben più ramificati con altri esponenti politici seduti tra gli scranni dell’Eurocamera, rischierebbe di minare la credibilità delle istituzioni stesse. Gli inquirenti “sospettano che un Paese del Golfo stia cercando di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo pagando ingenti somme di denaro o offrendo doni significativi a terzi che rivestono una posizione politica e/o strategica significativa all’interno del Parlamento europeo”. L’accusa, precisano i giornali belgi, non menziona il Qatar, ma diverse fonti ben informate hanno riferito che a pagare le mazzette sia stata proprio Doha. Il loro obiettivo, mentre sono ancora in corso le partite dei Mondiali di calcio, sarebbe stato proprio quello di difendere la legittimità della competizione dalle accuse di violazione di diritti umani e dei diritti dei lavoratori, sottolineando i presunti progressi della monarchia qatariota. Maggiori informazioni sull’architettura dell’organizzazione potrebbero emergere dalle analisi delle apparecchiature informatiche e dei telefoni sequestrati dagli inquirenti nel corso dei blitz che hanno riguardato soprattutto gli assistenti parlamentari legati al gruppo Socialisti e Democratici e, in un caso, al Partito Popolare Europeo.
La tutela dei diritti umani – Panzeri e Visentini, oltre all’assidua frequentazione con l’Eurocamera, hanno un’altra cosa in comune: l’impegno per i diritti umani. Entrambi, infatti, sono legati alla ong Fight Impunity, fondata dallo stesso ex eurodeputato lombardo nel 2019. Ed è proprio sul binario della tutela dei diritti umani, soprattutto con l’avvicinarsi dei Mondiali, che potrebbe essersi sviluppato il rapporto con il Qatar. A Strasburgo, alla Plenaria dello scorso novembre, è andato in scena un dibattito sulla situazione dei diritti umani e dei lavoratori nello Stato del Golfo dopo le polemiche sul trattamento dei dipendenti stranieri che hanno contribuito alla costruzione degli stadi per il Mondiale. E, già in quei giorni, in diversi al Pe avevano asserito che la risoluzione finale avrebbe potuto essere più severa. Lo scorso primo novembre, invece, la vicepresidente Kaili aveva incontrato il ministro del Lavoro qatarino Ali bin Samikh Al Marri, “accogliendo con favore l’impegno” di Doha “per i diritti dei lavoratori“.