Si è chiuso il summit Xi-Paesi del Golfo. La trasferta mediorientale attesta come il leader cinese voglia tornare a dettare le dinamiche globali. Lo conferma la partecipazione ai nuovi summit con i sei paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo, e le 22 nazioni della Lega araba. Missione: diversificare le fonti energetiche, trovare mercati più sicuri per i propri investimenti e indebolire l'influenza degli Stati Uniti nella regione
E’ l’inizio di “una nuova era” per la Cina e i paesi arabi. Al termine della sua visita in Arabia Saudita, Xi Jinping guarda già al futuro. Accolto dal re Salman bin Abdulaziz e dal principe ereditario Mohammad bin Salman con tappeto rosso (anzi viola) e colpi di cannone, nei quattro giorni trascorsi a Riad il presidente cinese ha presieduto alla firma di 34 accordi commerciali per un valore stimato di 29,62 miliardi di dollari: la collaborazione – già salda nel comparto petrolifero – sarà estesa alle rinnovabili, l’IT, le infrastrutture, e il settore sanitario.
Spicca la raggiunta intesa per un partenariato strategico che armonizza la strategia di sviluppo saudita “Vision 2030” e la Belt and Road Initiative cinese, oltre a un memorandum con Huawei sul cloud computing e la creazione di soluzioni digitali per le città saudite. Nel 2022, l’Arabia Saudita si è attestata come la prima destinazione per gli investimenti cinesi. Un dato non scontato, considerata la tradizionale predilezione della Cina per il Sudest asiatico e l’Africa, un mercato, questo, reso negli ultimi anni più complicato dall’alto livello di indebitamento tra i paesi partner.
La trasferta mediorientale – solo la terza all’estero dall’inizio della pandemia – attesta come Xi voglia tornare a dettare le dinamiche globali. Lo conferma la partecipazione del leader ai nuovi summit con i sei paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo, e le 22 nazioni della Lega araba. L’interesse della Cina per l’area MENA risponde a necessità precise: diversificare le fonti energetiche, trovare mercati più sicuri per i propri investimenti e indebolire l’influenza degli Stati Uniti nella regione.
Oltre ad essere il primo partner commerciale di Riad, la Cina è anche il principale importatore mondiale di greggio saudita con 1,77 milioni di barili al giorno, pari al 18% degli acquisti totali del gigante asiatico. Accordi preliminari tra Saudi Aramco e Shandong Energy Group riguardano nuove forniture di petrolio, ma anche la cooperazione tecnologica nella produzione di idrogeno e lo stoccaggio di CO2. Pechino “accoglie con favore il ruolo del Regno come sostenitore dell’equilibrio e della stabilità nei mercati petroliferi mondiali e come importante e affidabile esportatore di greggio”, recita un comunicato congiunto rilasciato venerdì.
E’ una questione energetica ma non solo. Impossibile infatti non cogliere il riferimento alla diatriba tra l’OPEC+ e gli Stati Uniti sui tagli alla produzione del petrolio. Il rinnovato interesse del gigante asiatico per le forniture saudite è anche più rimarchevole considerati i prezzi scontati del greggio in arrivo dalla Russia, che la Cina considera un partner strategico per respingere il pressing di Washington nell’Indo-Pacifico. Secondo quanto annunciato, Riad potrebbe ricambiare il sostegno di Xi accettando pagamenti in yuan anziché in dollari; la valuta cinese è ormai la quinta più scambiata a livello internazionale. Pechino ora punta a renderla un’opzione allettante per tutti quei paesi nel mirino delle sanzioni americane.
Ecco che sicurezza energetica e geopolitica concorrono a giustificare tanto l’accoglienza dei padroni di casa quanto l’entusiasmo degli ospiti. L’improvviso ritiro dall’Afghanistan e il nuovo “pivot to Asia” di Biden hanno messo in allarme gli storici alleati mediorientali, sempre più convinti che “two is meglio che one”. La Cina non è necessariamente un sostituto, ma può servire a controbilanciare l’arretramento statunitense in alcuni specifici settori.
Lo scorso anno le transazioni tra Arabia Saudita e Cina – trainate dal petrolio – hanno superato gli 87 miliardi di dollari. Quasi il triplo di quanto il Regno ha commerciato con gli Stati Uniti. E sebbene Washington sia il principale partner nella vendita di armi, con quasi 18 miliardi di forniture dal 2003 al 2021, la Cina sta recuperando terreno garantendo l’hardware che gli States tentennano a cedere: proprio di recente Pechino ha venduto a Riad droni armati per 4 miliardi di dollari. Tanto per avere un’idea tra il 2003 e il 2021 l’export di materiale bellico si era mantenuto sotto i 245 milioni di dollari. Mentre non sono noti nuovi accordi in proposito, Saudi Press Agency parla di “coordinamento nel campo della difesa”, citando la lotta al terrorismo e la visione comune riguardo le guerre in Yemen e Ucraina.
Secondo il comunicato congiunto rilasciato ieri, i due paesi “continueranno a sostenere fermamente gli interessi fondamentali reciproci, a supportarsi a vicenda nel mantenimento della loro sovranità e integrità territoriale e a esercitare sforzi congiunti per difendere il principio di non interferenza negli affari interni degli Stati, le regole del diritto internazionale e i principi fondamentali delle relazioni internazionali”. Un linguaggio simile è stato adottato al termine del summit con i paesi della Lega Araba in esplicito riferimento ai rapporti con Taiwan e alla questione palestinese.
Alle sinergie economiche corrisponde sempre più chiaramente un allineamento politico e ideologico. Sono 17 i paesi arabi ad aver espresso sostegno alla Global Development Initiative (GDI), framework lanciato lo scorso anno da Pechino che promette “uno sviluppo globale sostenibile, ma anche “partenariati globali più eguali ed equilibrati” e “la promozione di diritti umani attraverso lo sviluppo”. Quindi non più solo crescita economica e benessere. Soprattutto quando si interfaccia con il Sud globale, la Cina punta a promuovere persino nuovi valori e una riforma dell’ordine mondiale. In Arabia Saudita sfonda una porta aperta.
Bin Salman ha lodato gli sforzi della Cina nel combattere l’estremismo. Velata risposta alle critiche dell’Occidente sulle presunte gravi violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, la regione cinese dove vivono numerose minoranze musulmane. L’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi rende il principe ereditario, di per sé, una fonte non propriamente autorevole. Ma è indicativo che l’endorsement che arrivi dalla culla dell’Islam. Sul quotidiano Al Ryiadh, Xi ha definito il mondo arabo una “forza chiave per sostenere l’equità e la giustizia internazionali”. Equità e giustizia “con caratteristiche sino-saudite”.