Si fa un gran parlare della candidatura di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico. Per alcuni il giusto volto di un rinnovamento della sinistra – progressista, donna, moderna e più radicale dei suoi predecessori – a partire dalla quale lanciare una sfida alla leadership della Meloni e delle destre italiane.
D’altra parte sono piovute molte critiche alla sua candidatura. C’è chi ha fatto notare come sia sostanzialmente un’operazione di maquillage radical di una sinistra che rimane ancorata ad un modello neoliberale: la vice di Bonaccini che si candida contro il suo Presidente per creare un falso scontro e una mobilitazione delle fazioni più di sinistra del centro-sinistra.
Ma la critica che mi sembra più interessante ha a che vedere con la posizione sociale della Schlein: di famiglia agiata e colta, figlia di accademici importanti, tre passaporti (e che passaporti!): italiano, svizzero e statunitense. In sostanza la Schlein rappresenterebbe il prototipo della “comunista col rolex”, la perfetta “radical chic”.
La questione delle risorse materiali per fare politica in effetti, soprattutto dopo l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, rappresenta un problema importante. Sempre di più i partiti post-moderni (in Italia, dopo la fine della Prima Repubblica) assomigliano a quelli ottocenteschi: congreghe di notabili, con un patrimonio personale, che da posizioni più o meno illuminate e filantropiche possono dedicarsi alla politica. Sembra finita quella fase dei partiti di massa, dove in Parlamento arrivavano contadini, operai, piccolo-borghesi da tutte le province, grazie alla capillare struttura dei grandi partiti-massa come il Partito Comunista Italiano e la Democrazia Cristiana.
La questione materiale però in questa storia c’entra, ma di sbieco: infatti con molto impegno, sacrifici, qualche colpo di fortuna e tanta determinazione si può far fronte anche alle condizioni sfavorevoli di partenza. Non che questo sia giusto o comune, ma di fatto accade. Pensiamo al caso di Giorgia Meloni: ragazza di borgata, non proprio figlia della working class, ma per nulla ricca e soprattutto lontana dai contesti della borghesia colta e benestante. La leader della destra radicale italiana infatti incarna un modello che è riuscito a farsi strada e rendersi appetibile alla propria base, superando tutta una aristocrazia neo e post-fascista, soprattutto maschile, ma anche femminile, anche se composta da figlie e mogli di, in un contesto fortemente patriarcale. Anche se, questo va sottolineato, sul piano strettamente materiale, Meloni appartiene ad una generazione che ha fatto per poco ancora in tempo ad entrare in politica quando poteva essere uno strumento di mobilità sociale.
Questo sembra impossibile a sinistra, oggi. In questo senso il caso della Schlein è emblematico non tanto per i soldi che ha, per le condizioni materiali di partenza, quanto per il capitale simbolico, culturale, relazionale che la sua posizione porta con sé. In termini economici infatti, il figlio di un piccolo industriale veneto sarà più ricco della Schlein ma non avrà chances di gareggiare con questa alla leadership di un partito come il Pd, e finirà verosimilmente a votare Lega. In questo si vede che il legame che il Pd ha reciso con le classi popolari non è primariamente un legame materiale (è anche quello) ma è soprattutto simbolico. Per fare carriera nella sinistra italiana si deve essere figli di accademici benestanti, e parlare tre lingue fin dalla culla, per essere pronti a quel processo di formazione che ti porterà ad essere candidato a rappresentare quella classe medio-alta cosmopolita e progressista che è ormai il referente sociale di quest’area politica.
Raffaele Alberto Ventura ha scritto che il mondo si divide sempre più fra chi ha i mezzi per accedere allo studio di codici di comportamento sempre più complessi, rigidi e contraddittori di una nuova società delle buone maniere, nella versione del politicamente corretto, e chi sarà condannato alla pubblica gogna per una violazione di questi codici su Twitter.
Elly Schlein sembra una buona candidata a rappresentare la sinistra del Pd non tanto perché sia ricca (lo sarà molto meno di tanti altri politici) quanto perché ha avuto abbastanza capitale (economico, sociale ecc..) per poter studiare quei codici. In questo senso la questione che si pone non è tanto di condizioni materiali di partenza, ma di rappresentazione simbolica, di capacità di incarnare un immaginario, di sentirsi a proprio agio in un certo mondo: un capitale che non corrisponde con quello economico, ma che da quello non può prescindere.
Il Pd è diventato a pieno titolo il partito dei benestanti, non di chi ha i soldi genericamente, ma di chi li ha spesi per incarnare un modello di virtù così lontano dalla sguaiata ineleganza di Liliane Murekatete, la moglie di Soumahoro, una parvenue che si è sporcata le mani per comprarsi delle volgarissime borse griffate. Avesse saputo, per educazione ricevuta, che le persone di sinistra devono portare la borsetta di stoffa che danno con i libri della Feltrinelli, non avrebbe fatto fare al marito la figuraccia che gli è costata tutta la reputazione guadagnata col sudore della lotta.
* Dottorando in Filosofia del Diritto dell’Università di Salerno