Cosa sappiamo di Roger Scruton, il filosofo conservatore scomparso nel 2020 spesso citato da Giorgia Meloni? E come la pensava politicamente Micheal Ende, lo scrittore di La Storia Infinita che vede tra i protagonisti il piccolo Atreju? E poi, che senso ha citare da destra i cantautori icone della sinistra, come Guccini e De Andrè, cosa che Meloni fa ripetutamente nella sua autobiografia Io sono Giorgia? A queste e altre domande cerca di rispondere FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, nel numero in edicola da sabato 9 dicembre, dedicato appunto al pantheon intellettuale della donna che guida il governo italiano. Ecco un’anticipazione.
ROGER SCRUTON. “Uno dei primi a leggere Scruton è stato Gianfranco Fini, la circolazione delle sue idee in Italia risale grosso modo ai tempi della svolta di Fiuggi”, dice Mario Ricciardi, ordinario di Filosofia del diritto alla Statale di Milano e direttore del Mulino. “C’era interesse per un autore che rappresentava una destra diversa da quella di matrice fascista che in Italia era stata maggioritaria. Il radicalismo liberale britannico era più di sinistra che di destra, mentre Scruton era l’esponente di una posizione conservatrice, anche se non considero corretto definirlo un reazionario, come fa qualcuno. Il suo eroe è Burke, non De Maistre… Politicamente è un conservatore che mantiene alcuni profili della cultura liberale: crede nella più ampia possibile libertà delle persone e critica certi aspetti della modernità. I suoi libri furono subito apprezzati dai giovani di Alleanza nazionale”.
Per Gennaro Malgieri, giornalista e saggista che negli anni ha studiato e divulgato il pensiero di Scruton, i suoi temi cardine sono “l’appartenenza e l’identità, nazionale ed europea, contro il relativismo etico, il suo concetto di oikofobia intesa proprio come la tendenza a denigrare, nei conflitti, i propri usi, costumi, la lealtà alla tradizione nazionale e alla propria comunità, l’abbandono di ciò che si è”. Spiega Malgieri che secondo il filosofo britannico “la decadenza dell’Europa, in particolare di quella occidentale, e della Gran Bretagna, nasce da una sorta di distacco dalle cose elementari, primigenie, che definiscono la nostra esistenza; da un allontanamento dall’oikos, dal luogo di appartenenza: famiglia, scuola, villaggio, Patria, nazione, Europa”.
MICHAEL ENDE. Lo scrittore di La Storia Infinita, secondo solo a Il Signore degli Anelli fra le citazioni letterarie di Giorgia Meloni, con la destra non ha mai avuto nulla da spartire. Lo assicura il suo amico, editor e agente Roman Hocke, che vive da anni in Italia e sta valutando la possibilità di impedire legalmente che il nome di Atreju sia legato alla manifestazione annuale dei giovani meloniani. “È una delle più grandi incomprensioni che ho conosciuto nella mia vita”, dice Hocke. “Un malinteso enorme. Atreju è “figlio di tutti”. Non ha una famiglia tradizionale. È stato cresciuto dalla comunità e proprio quel termine “figlio di tutti” implica che l’ascendenza e l’origine non sono un retaggio assoluto e definitivo, ma ognuno è responsabile della sua storia. Leggendo bene La storia infinita si vede che i valori contenuti sono tutt’altro rispetto a quelli della destra. Non è giusto che un partito, qualsiasi partito, si appropri di un opera d’arte per questioni meramente sue”.
Quanto a Ende, deceduto nel 1995, “era molto vicino alle idee del Spd e ai Verdi, ma non si è mai fatto coinvolgere: “Sono un artista e scrivo per tutti”, ripeteva. La cultura per lui era qualcosa che unisce e non divide come la politica. Se si vedesse associare alla destra, si rivolterebbe nella tomba. Non sopporterebbe l’uso di un suo personaggio per veicolare valori radicalmente diversi”.
GUCCINI E DE ANDRE’. Citare da destra cantautori di sinistra “è una precisa forma di accreditamento culturale”, spiega Jacopo Tomatis, studioso di canzone italiana, ricercatore e titolare del corso di Popular Music al Dams di Torino. “Oggi in Italia è come appropriarsi di un classico. Parliamo di fatto del nuovo repertorio d’arte di una generazione, assurto a livello di poesia civile, che oramai non ha più valore sovversivo: anzi, è un pezzo di establishment culturale, sia che lo usi la destra, sia la sinistra”.
L’epoca dell’impegno, inoltre, è finita da un pezzo, almeno dagli anni Ottanta: “È quello il fatidico passaggio dove non solo i cantautori hanno smesso di parlare di politica, ma il pubblico ha smesso di cercare politica nella musica. L’idea forte che la canzone potesse essere uno strumento di comunicazione politica nasce alla fine anni ’50, si radicalizza col ’68, diventa mainstream nei ’70, collassa intorno al ’77 e quel repertorio diventa una sorta di koiné nazionale democratico-civile. Se cito De Andrè non è come citare Pupo: c’è una gravitas che deriva dal citare i grandi cantautori”.
Il musicologo Tomatis conclude con una provocazione: “Se Meloni cantasse Bella Ciao si ripulirebbe dal suo passato fascista, rifunzionalizzerebbe la canzone in modo nuovo e la priverebbe del valore antagonista che ha oggi. E purtroppo infliggerebbe l’ennesimo colpo letale alla sinistra”.
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