Il Mereghetti compie trent’anni, ma non li dimostra se non fosse che è leggermente ingrassato. Il suo ‘librone’ del cinema (detto confidenzialmente Il Mereghetti) pesava infatti, nell’edizione 2019, 4,2 chili, contro i 4,6 di questa nuova del 2022, appena uscita. Del resto, l’aumento ponderale è fisiologico per un’opera di consultazione itinerante che cresce nel tempo: più film da aggiungere, più grammi. Il primo dizionario realizzato da Paolo Mereghetti porta la data del ’92- ’93 ed era un unico volume, oggi sono tre e custoditi in un cofanetto utilizzabile anche per penne e blocchetti per appunti.

Ossessionato da chi gli chiede perché, in un mondo dominato dalla rete, non si decida a informatizzare la versione cartacea (7554 pagine più 2336 di indici di registi, titoli originali e attori), Mereghetti risponde che sì, il glossario cinematografico cartaceo ha il suo fascino, ma non solo in un’ottica démodé: capita, ad esempio, che vai a cercare un film e finisci per soffermarti anche sul precedente o sul successivo, insomma impari qualcosa in più (e poi, scrive Mereghetti nell’introduzione “non è vero che in rete si trova tutto: si trovano frammenti polverizzati di un tutto confuso e disorganico, dove si rischia di annegare o di perdersi fra informazioni spesso contraddittorie e a volte inattendibili”).

Certo, tutti usiamo la rete, magari come punto di partenza (verificabile), ma non è solo feticistica l’idea di avere fra le dita la cellulosa: il dizionario del Mereghetti lo tieni sul comodino o sul tavolo del salotto e, appena hai dubbi su un film che stai guardando, lo consulti al volo, idem quando torni dal cinema pieno di curiosità (del resto, come diceva Wim Wenders – cito a memoria, ma il succo è questo – se hai visto un film che svanisce appena sei in strada, significa che si tratta di un brutto film, se non addirittura di un film inutile).

E allora ecco lì Il Mereghetti a confortarti consultato appena sei a casa, pronto a dar pace alle tue dimenticanze in sala (soprattutto quando, con la canizie, la memoria comincia a tradirti). E puoi soddisfare anche i tuoi inevitabili dubbi e il tuo platonico ‘so di non sapere’. Certo, Il Mereghetti non è un libro per chi si avvicini al cinema in maniera superficiale o vada a vedere questo o quel film solo in base al culto per gli attori che appaiono sulla locandina. Del resto, precisa il critico, è stata “la curiosità e l’amore per il cinema” a motivarlo, l’amore di chi si commuove ancora, per esempio, guardando per l’ennesima volta Gene Kelly che, felice dopo aver baciato Debbie Reynolds, canta Singing in the rain in quel capolavoro che è Cantando sotto la pioggia di Stanley Donen, quattro stelle nel punteggio del dizionario (a proposito, non perdetevi la versione restaurata in 4K dalla Warner, dal 5 dicembre nelle sale italiane).

Mereghetti distribuisce (e toglie) stelle (ma non moltissime) a ogni nuova uscita. Le novità del 2022? Fra le 35.000 schede sono compresi anche alcuni Netflix, pur poco amati dall’autore. Il volume è editato da Baldini + Castoldi, acquisita dal 2017 da La Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi. Nella nuova edizione c’è un capillare recupero di molti film d’antan come quelli del regista finlandese Mauritz Stiller (1883-1928) o del francese Gabriel-Maximilien Leuvielle, in arte Max Linder (e siamo nell’ambito del muto).

Ma si riparla anche di certe stelle (quelle vere) di Hollywood che cominciavano lentamente a spegnersi nella memoria collettiva, come Hugo Haas, regista, ma anche attore cecoslovacco emigrato negli Usa e come il grande Sidney Lumet, direttore di quel capolavoro che è Quel pomeriggio di un giorno da cani (quattro meritatissime stelle) e basterebbe solo la sequenza iniziale, con i titoli di testa sopra le vie di Brookyn ed Elton John che canta Amoreena, per fargliele meritare. E poi, finalmente, il giusto onorevole trattamento per Bud Spencer e Terence Hill, ma anche un posticino più analitico per gli indimenticabili ‘pepla’ con Maciste, Ercole e raddrizzatorti vari che segnarono una stagione importante del bis italiano anni 60.

Personalmente sono trent’anni che aspetto un migliore trattamento per Un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Giù la testa, C’era una volta il West e C’era una volta in America, di Sergio Leone, imprigionati da trent’anni in classifica con tre stelle al primo e due e mezza (sic) agli altri quattro, ma neppure in questa edizione c’è alcun progresso valutativo. Del resto, in un vecchio numero di Ciak Mereghetti scriveva: “Mi scuseranno i profeti del web, ma nonostante tutto continuo a pensare che esista una (bella) differenza tra ‘esprimere la propria opinione’ e ‘fare critica’. Non è questione di orgoglio, di casta o di potere. È questione di prospettiva e di ambizioni“. Già il bello del Mereghetti è proprio che ognuno, più o meno competente, può confrontarsi sulle valutazioni, esprimere pareri, ma non può scriverci su un dizionario del cinema. Comunque sia, quanto a Leone, io punto ancora sull’edizione 2025.

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