“Nel mio campo, le parole stabilità e Italia faticano a stare nella stessa frase”. Riassume così la sua esperienza Davide Fiori, genovese di 40 anni, che oggi fa l’osteopata in Belgio. Prima di lasciare l’Italia, nel 2015, di città ne ha cambiate parecchie: Genova, Torino, Firenze e Bologna tra le principali. Nessuno di questi posti lo ha messo nelle condizioni di rimanere, anche se Davide le carte in regola le aveva tutte.

Laureato in triennale in Scienze motorie, si è specializzato in Scienza e tecnica dell’allenamento sportivo. Un decennio di incarichi sottopagati e proposte di contratto irregolari, poi un master in Osteopatia a Torino ma la sua carriera in Italia non decolla. Così sette anni fa la scelta di trasferirsi a Bruxelles, dove oggi gestisce uno studio di riabilitazione e collabora con 7 professionisti. “Dopo diversi lavori nelle Scienze Motorie, avevo una sorta di frustrazione: non riuscivo a trovare un lavoro con un contratto regolare e nemmeno un posto da libero professionista che avesse le giuste soddisfazioni – spiega Davide al fattoquotidiano.it -. Non c’era stabilità, le ore erano tante, prendevo mille euro al mese e nessuno mi versava alcun tipo di contributo. Le società sportive dilettantistiche per risparmiare sulle tasse trovano modi per non raggiungere la soglia massima annuale: succede regolarmente in Italia”.

Stanco di proposte di lavoro irregolari e con metodi di pagamento ad hoc per aggirare le regole, Fiori si convince a cambiare vita e intraprende la strada del commercio. Il primo contratto vero e ben remunerato glielo fanno come responsabile di reparto in una celebre catena di negozi sportivi. Poi fa carriera nel ruolo e viene chiamato da diverse aziende dell’abbigliamento. Non è il lavoro per cui ha studiato, ma finalmente può fare dei progetti: “Quando hai 28-29 anni – racconta – e inizi a vedere per la prima volta le 14 mensilità e un contratto a tempo indeterminato, la macchina, il computer e il telefono aziendale, ti sembra di vivere in una gabbia dorata. Ti ingolosisce, o forse è una cosa normale”.

Proprio mentre crede di essersi lasciato i sogni alle spalle però, arriva la proposta di lavorare in una società sportiva e lui accetta. “Avevo segnali positivi dall’azienda. Mi facevano lavorare tanto, mi davano responsabilità, mi hanno spremuto come un limone e dieci giorni prima della fine del periodo di prova mi hanno detto che non erano convintissimi che potessi essere adatto al ruolo. Salvo poi propormi di tornare alle stesse condizioni dopo 20 giorni di stop”.

Dopo quell’ennesima batosta, Davide decide di dare una svolta alla sua vita e, complice l’incontro di uno dei suoi mentori dell’Università, si iscrive al master in Osteopatia e riprende a lavorare da freelance nello sport. Trasferitosi in Emilia Romagna, manda il curriculum a tutte le piscine di Bologna e dintorni e vince un progetto per insegnare nuoto ai bambini: “Gli anni in ambito commerciale e marketing mi sono serviti per la progettazione e il business plan”. Ma dopo un anno il progetto finisce, e Davide si ritrova al punto di partenza: “Mi sono reso conto che le cose nel mio campo non erano cambiate e io ero sempre più grande. Avevo a fianco una persona con cui volevo costruire un futuro, così decisi di cambiare rotta”.

Davide a quel punto vola a Bruxelles, dove un conoscente lo avrebbe aiutato ad avviarsi al lavoro indipendente. La sua compagna, tre anni in meno di lui, lo avrebbe raggiunto. “Ho sempre avuto l’idea che per fare un passo del genere bisognava essere particolarmente giovani. Ma quando sono partito avevo 33 anni, avevo fatto diverse esperienze e temevo di essere in ritardo”. Rimettersi in gioco era un salto nel buio: “Sono arrivato con la valigia di cartone. Dovevo collaborare con un amico, ma non è andata e dopo i primi tre mesi di panico, in cui ho cercato di mettermi in gioco in tutti i modi, ho iniziato avere i miei clienti”.

Oggi Davide ha uno studio a Bruxelles e coordina sette persone, tra collaboratori e dipendenti: “Lavoriamo sul movimento, con pazienti che hanno avuto problemi di salute o anche solo dolori dovuti a squilibri posturali”. Avrebbe voluto aprire un’impresa così in Italia, ma la burocrazia lo ha fermato: “Dal punto di vista amministrativo non era possibile. Ci ho provato, ero diventato un esperto di regolamenti italiani sulla sicurezza, ma non riuscivo a venirne a capo. Avrei potuto fare questa attività solo assimilandola a una palestra”. A distanza di sette anni dall’arrivo in Belgio, tornare indietro gli sembra difficile. Ma se pensa alle ragioni per cui si trova all’estero, non può non avere l’amaro in bocca. “Non mi sento un cervello in fuga – dice – e mi brucia ancora essere andato via. E voglio fare tutto fuorché definirmi un cervello in fuga. All’inizio mi vergognavo di essere italiano perché sono andato via per la mancanza di vere opportunità, oggi mi rendo conto di quanto siamo apprezzati e mi spiace pagare le tasse per lo Stato belga e non quello italiano”.

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