La querelle seguita alle dichiarazioni del Fai sulle rinnovabili “senza se e senza ma” verte sul futuro energetico e sulla salvaguardia dei valori culturali e paesaggistici del Paese. Più impianti di FER [fonti energia rinnovabile, ndr] vengono autorizzati, più evidenti sono le contraddizioni e gli impatti della transizione energetica appena iniziata. Inevitabili, quindi, le divisioni rispetto a chi considera la transizione un dogma da abbracciare a scatola chiusa.
Affrontare il cambiamento senza una riflessione sul rapporto costi/benefici delle FER, sui rendimenti effettivi (non drogati da incentivi), sulle tecnologie migliori per il nostro Paese, è follia. E neanche aiuta continuare a ignorare le istanze dei territori e approvare d’imperio con dpcm i progetti o proporre di mettere i pannelli sui tetti dei centri storici (FAI) ed equiparare le pale eoliche alle cattedrali gotiche (Legambiente). Ecco, quindi, alcuni dati su cui ragionare senza steccati ideologici.
La Commissione di Via Nazionale si appresta a esaminare ben 517 progetti eolici, 264 impianti fotovoltaici di grandi dimensioni in maggioranza previsti su terreni agricoli e altri 195 impianti agrovoltaici. Una enormità, ma solo una parte di quanto programmato per la transizione ecologica.
Il costo di produzione delle diverse tecnologie è estremamente vario. L’elemento determinante è la capacità produttiva rispetto alla potenza installata: a causa della scarsità e della variabilità del vento le pale eoliche in Italia producono metà dell’energia prodotta dalle pale eoliche collocate sui mari del Nord e la costa atlantica d’Europa. Dati incontrovertibili certificano che l’Italia è inadatta all’eolico e presenta valori di produzione molto bassi rispetto a quelli delle pianure tedesche e dei mari del Nord che si attestano su circa 3000 ore anno, con punte di 3700 (esempio: l’impianto Thor in Danimarca -1000 MW-, in costruzione senza incentivi, punta a 4600 ore/anno), mentre le ore annue di produzione in Italia si attestano a 1720.
I dati parlano da soli. Perché, dunque, si programma di installare altri 10 GW di eolico on shore in Italia?
L’insolazione italiana, al contrario, consente al fotovoltaico una capacità produttiva eccellente a livello europeo: i 33 GW di pannelli fotovoltaici previsti dal PNIEC per il 2030 richiedono circa 50.000-60.000 ettari di area adatta, pari a 500-600 kmq. Gli spazi meno pregiati sul territorio esistono e vanno ricercati tra: le superfici di copertura dei 700mila capannoni industriali esistenti (dato WWF) e le superfici impermeabilizzate all’interno delle aree di sviluppo industriale (aree di manovra, parcheggio e stoccaggio); le aree degradate da bonificare, paria a circa 9.000 kmq; le coperture degli edifici pubblici e privati rigorosamente fuori dai centri storici, pari a circa 760 kmq. Con ciò si riconoscerebbero vantaggi diffusi sul territorio, non concentrati nelle mani dei grandi operatori internazionali.
Tenendo a mente questi dati, il presidente del FAI si illude se pensa di poter governare gli enormi interessi economici che ruotano (letteralmente) intorno al fenomeno eolico. Evidentemente dai suoi uffici a Milano non ha consapevolezza di cosa avviene nei territori del Meridione e delle pressioni esercitata dalle grandi multinazionali che tranquillamente fanno strame della pianificazione paesaggistica. Vada ad affacciarsi dalla finestra di un socio di Italia Nostra che vive in Calabria che quotidianamente vede il paesaggio dell’istmo tra Ionio e Tirreno, un tempo spettacolare, costellato di ben trecento pale.
Superficiale pare pure la narrazione sul cambiamento dei paesaggi, cosa tra l’altro prevista nel vincolo paesaggistico, che un tempo avveniva lentamente e mantenendo un’identità. Oggi invece, di fonte alle campagne, ai monti e alle coste sfigurate da giganteschi apparati industriali, alti 250 mt, non si può più parlare di cambiamento quanto di alterazione e azzeramento totale dei valori e dell’ordinaria visione dei territori. La pretesa di insegnare alle Soprintendenze come affrontare questa mutazione brutale del contesto paesaggistico e di svilirne il lavoro, contraddice poi gli interventi di Andrea Carandini (precedente Presidente del FAI) a favore delle professionalità delle Soprintendenze e contro il loro depotenziamento.
Italia Nostra, come sempre, sta con il MiC, con le Soprintendenze e con il sistema di tutela che ha governato per oltre un secolo la trasformazione del nostro Paese da agricolo a industriale. Oggi Italia Nostra non può che sostenere l’indirizzo politico del ministro Gennaro Sangiuliano e del sottosegretario Vittorio Sgarbi, i quali cercano la strada per salvaguardare ciò che rimane del paesaggio italiano: le campagne, le coste, i monti e i centri storici.