Una riforma dell’avviso di garanzia, che “si è trasformato in condanna mediatica anticipata“, da inserire dentro una “revisione organica del codice di procedura penale, a cominciare dal registro degli indagati che dovrebbe restare segretissimo e invece si è trasformato in un’automatica fonte di delegittimazione di una persona che non è nemmeno imputata”. In un’intervista al Messaggero il Guardasigilli Carlo Nordio aggiunge bandierine al suo progetto di rivoluzione garantista, già illustrato nelle relazioni alle Camere delle linee programmatiche sulla giustizia, in cui se l’è presa soprattutto con le intercettazioni (definite “strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica“) e con l’obbligatorietà dell’azione penale (“diventata arbitraria e quasi capricciosa”).
Le captazioni telefoniche, dice ora il ministro, sono “utili e talvolta indispensabili” solo “per i reati di grave allarme sociale“, ma non per quelli dei colletti bianchi (i reati contro la pubblica amministrazione, come corruzione, concussione e peculato): “Statisticamente la gran parte riguarda reati che non hanno nulla a che vedere con mafia e terrorismo, sono costosissime e non servono a niente”, sentenzia Nordio. Eppure sulle intercettazioni, negli ultimi anni, si sono fondate molte importanti inchieste sui livelli nascosti del potere, da “Mondo di mezzo” all’indagine Consip. L’ex magistrato insiste anche sul mantra dell’abuso dello strumento delle intercettazioni da parte dei pm: “Non ci sono più le risorse umane per fare bene le indagini, e ci si affida a questo strumento quasi automatico che alla fine qualcosa ti fa trovare. Un po’ come il medico, che non avendo tempo per una visita accurata ti inonda di esami costosi, spesso inutili e anche pericolosi”. Eppure dovrebbe sapere che i magistrati dell’accusa (a differenza di quanto avviene in molti altri Paesi europei) non possono disporre ascolti a loro piacimento, ma solo a seguito di autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, che provvede con decreto motivato, solo quando vi siano gravi indizi di reato e sia assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini. Quando si ricorre a questo strumento, dunque, almeno in teoria lo si fa perché è l’unico modo per indagare.
Nordio ribadisce poi l’intenzione di applicare una “vigilanza rigorosa” sulla diffusione di intercettazioni. E se la prende con presunte “violazioni del segreto istruttorio” (che in realtà dal 1989 si chiama segreto investigativo), lasciando intendere che sui giornali finiscano di continuo intercettazioni coperte da segreto per “colpa di chi divulga o lascia divulgare la notizia”. Quella della violazione di segreto, in realtà, è una sorta di leggenda metropolitana: quasi sempre, quando una conversazione intercettata viene pubblicata dalla stampa, è perché è contenuta in atti messi a disposizione delle parti e quindi non più coperti da segreto, che siano un’ordinanza di applicazione misure cautelari o direttamente tutto il fascicolo (quando l’indagine è conclusa).