Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha convocato per le 19 di oggi una riunione d’emergenza del Consiglio per la sicurezza nazionale, in seguito agli ultimi preoccupanti sviluppi della situazione in Kosovo, con l’escalation della tensione interetnica nel nord a maggioranza serba, dove da sabato i serbi attuano blocchi stradali per protesta contro l’arresto di un ex poliziotto serbo. “Buona parte della comunità internazionale fa finta di non vedere cosa sta succedendo”, ha detto lo stesso Vucic dopo la riunione. Nel frattempo, il premier kosovaro Albin Kurti ha accusato la Serbia di minacciare una nuova guerra con l’invio di proprie truppe nel Kosovo e di appoggiare l’attività di gruppi criminali. A suo dire, “le azioni della Serbia costituiscono minacce costanti“. La situazione preoccupa sempre più la comunità internazionale, allarmata per un possibile nuovo incendio nel cuore dei Balcani, regione cronicamente instabile nella quale non sono ancora rimarginate le ferite dei sanguinosi conflitti fratricidi degli anni Novanta.
Nel nord del Kosovo prosegue infatti la protesta della popolazione serba locale, con barricate e blocchi stradali attuati da sabato, dopo l’arresto di un ex agente serbo della polizia kosovara, dimessosi nelle scorse settimane unitamente agli altri rappresentanti serbi che hanno abbandonato i loro incarichi in tutte le istituzioni del Kosovo. L’accusa nei suoi confronti è di coinvolgimento in reati di terrorismo e attentato all’ordine costituzionale, in particolare per l’assalto agli uffici della locale commissione elettorale e attacchi a funzionari della polizia kosovara. Nella notte tra sabato e domenica, riferiscono i media a Belgrado, di tanto in tanto si sono udite esplosioni e sparatorie, ma non si hanno notizie di feriti o danni. Un ordigno è stato lanciato contro una pattuglia di Eulex, la missione civile europea in Kosovo, il cui personale di polizia è coinvolto nell’opera di controllo e sorveglianza, unitamente alle truppe della Kfor, la Forza Nato. Restano chiusi sia alle auto che ai pedoni i due principali valichi di Jarinje e Brnjak, alla frontiera con la Serbia, mentre sono impercorribili numerose e importanti vie di comunicazione nel nord del Kosovo, a causa dei blocchi stradali attuati dai serbi con veicoli, camion, autobus, ruspe e altri mezzi pesanti.
La tensione è tornata pericolosamente a salire dopo l’invio nei giorni scorsi da parte del governo di Pristina di centinaia di agenti della polizia speciale kosovara, motivato con la necessità di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza dei residenti a seguito di vari incidenti interetnici registratisi negli ultimi tempi. La popolazione serba, maggioritaria nel nord, non vede mai di buon occhio la presenza di forze dell’ordine kosovare, considerate come elemento ostile e mezzo per reprimere l’autonomia e la libera volontà dei serbi locali, che non accettano la sovranità di Pristina. Il presidente serbo Aleksandar Vucic, in un discorso sabato sera in diretta tv, è tornato a puntare il dito contro il premier kosovaro Albin Kurti e la sua politica antiserba, annunciando l’intenzione di Belgrado di inviare in Kosovo un contingente di forze di sicurezza serbe, a difesa della locale popolazione serba. Cosa questa, a suo dire, in linea con quanto previsto dalla risoluzione 1244 adottata dal consiglio di sicurezza dell’Onu nel 1999, al termine del conflitto armato in Kosovo.
Il premier kosovaro Kurti ha replicato oggi in una conferenza stampa a Pristina: “Il passato deve rimanere tale. Noi siamo un governo di pace che vuole garantire la sicurezza per tutti i cittadini senza distinzione di etnia, religione, sesso o età “, ha affermato Kurti, denunciando il forte riarmo di Belgrado: “La militarizzazione della Serbia nel corso degli anni ci ha portato a questa situazione“. “La pace in Kosovo è arrivata dopo la nostra guerra e l’aiuto dell’alleanza (la Nato, con i raid sulla Serbia del 1999, ndr), al termine di un regime genocida“. Per Kurti, con il pacchetto proposto da Ahtisaari ai serbi locali sono stati offerti diritti senza precedenti: “Ma l’integrazione del nord (a maggioranza serba, ndr) non è avvenuta neanche dopo 14 anni dall’indipendenza e dieci anni di negoziati”. “Noi siamo un governo democratico, siamo interessati alla cooperazione con i serbi del Kosovo. Siamo il governo più democratico e progressista della regione”, ha sostenuto Kurti, invitando la comunità serba a cooperare con le autorità kosovare in modo da prendere insieme le decisioni. “Purtroppo la Serbia, attraverso gruppi criminali, ha tenuto e continua a tenere in ostaggio i cittadini del Kosovo”, operando costantemente al fine di creare caos. “Il blocco delle strade pubbliche da parte di bande criminali che sparano contro la nostra polizia e quella di Eulex è inaccettabile”, ha detto Kurti.
Le cancellerie occidentali, in primis Ue e Usa, intanto da giorni moltiplicano gli appelli alla calma. A surriscaldare l’atmosfera è stata la decisione del governo kosovaro di inviare al nord centinaia di agenti della polizia speciale, pesantemente armati e appoggiati da veicoli blindati. Un passo motivato dalla necessità di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza dei residenti dopo gli incidenti dei giorni scorsi, ma che ha provocato un’autentica sollevazione della popolazione serba locale. Una rabbia sostenuta e condivisa da Belgrado, che accusa apertamente il premier Kurti di soffiare sul fuoco, di attuare una politica provocatoria e di puntare a una vera e propria pulizia etnica con l’espulsione dei serbi dal Kosovo. Scioccanti le parole ieri della premier serba Ana Brnabic, secondo la quale con le sue azioni unilaterali e destabilizzanti e con il suo evidente odio antiserbo Kurti ha portato la situazione “al limite di un nuovo conflitto armato” nei Balcani.