Il progetto, fondato nel 2019 in Guatemala dal 28enne Andrea Pesce, è diventato un caso studio analizzato anche alla Cop27. L'obiettivo è "piantare alberi per mettere al centro le persone, non solo la natura": “Non ci serve un pianeta più sostenibile se non ci sono persone che lo abitano", spiega il giovane imprenditore. Per questo accanto alla riforestazione la start-up mette in campo progetti di formazione e inserimento lavorativo
Piantare alberi per mettere al centro le persone, non solo la natura”. È l’obiettivo di ZeroCO2, un progetto di riforestazione ad alto impatto sociale e sensibilizzazione ambientale nato nel 2019 in Guatemala. Con la crescita dell’attenzione climatica, anche in Italia sono tantissime le startup e le ong a essersi buttate su questo settore: vendere e curare, per conto di aziende e privati, alberi da frutto in altre parti del mondo sembra la strategia più semplice per abbattere le emissioni di gas serra. In questo panorama però ZeroCO2 cerca di distinguersi: “Non ci serve un pianeta più sostenibile se non ci sono persone che lo abitano”, spiega Andrea Pesce, 28 anni, fondatore dell’azienda. “Per questo non ci interessa solo salvaguardare e, in certi casi, ricreare il patrimonio naturale. Cerchiamo di lavorare insieme alle comunità e alle associazioni locali e di finanziare, tramite gli alberi che piantiamo, progetti di educazione, formazione e reinserimento lavorativo, per puntare al futuro e permettere ai contadini di non lasciare la loro terra”. Con quasi 700mila piante messe a dimora in Italia, Tanzania e Sudamerica, più di 335 milioni di tonnellate di gas serra assorbiti e oltre 12mila famiglie supportate, ZeroCO2 è diventato un caso studio, analizzato anche all’ultima Cop27, la Conferenza sul clima dell’Onu.
L’idea – La start-up non nasce da un progetto preciso. “Prima del 2019 mi occupavo di educazione per la Commissione europea, mi divertivo da matti ma volevo avere un impatto più concreto. Dovevo sporcarmi le mani per contribuire, con il mio granello di sabbia, alla lotta alla crisi climatica”, racconta Pesce. Così ha deciso di spostarsi in America Latina, una continente frequentato insieme alla famiglia sin da piccolo. “Mi occupavo in Guatemala di un progetto di educazione scolastica. Nelle comunità dove andavo la terra si stava impoverendo e le persone si stavano arrendendo alla deforestazione”. Nello Stato è infatti diffuso il fenomeno del land grabbing, la pratica con cui le multinazionali del caffè, del cacao o della frutta si accaparrano, in cambio di pagamenti, la maggior parte dei terreni agricoli. “Molti contadini erano costretti a emigrare negli Stati Uniti. Invece per permettere loro di restare, bisognava puntare sulla formazione. Così insieme al professore guatemalteco Virgilio Galicia abbiamo pensato a come mettere insieme l’impatto ambientale con il benessere sociale”, racconta.
Le storie – Grazie alla collaborazione con università e istituzioni, i progetti di riforestazione di ZeroCO2 sono approdati anche nella Patagonia argentina, in Perù, in Tanzania e in Italia. All’inizio la difficoltà più grande è stata “convincere le persone che avremmo davvero fatto quello che promettevamo. La prima volta Virgilio ha portato 25mila alberi a una comunità, ma nessuno è venuto a ritirarli. Erano convinti li avremmo fatti pagare”, ricorda Pesce. E cosa ha fatto a quel punto il prof? “Li ha caricati sul camion e ha iniziato a piantarli di persona. Abbiamo dimostrato a quei contadini che esisteva un’alternativa. Molti hanno rinunciato ad andarsene, alcuni impiegati hanno addirittura lasciato il proprio lavoro per mettersi a coltivare un campo comunitario di un ettaro di un ananas”.
Il metodo – A comprare gli alberi da ZeroCO2 sono sia privati che altre aziende, “a patto che siano dentro il nostro perimetro etico: non accettiamo l’industria della guerra o il gioco d’azzardo”. Le piante vengono messe a dimora con la tecnica dell’agroforestazione – cioè affiancando quelle spontanee a quelle da frutto per ricreare l’ecosistema di un bosco – e sono di proprietà delle comunità. “In questo modo generiamo supporto alimentare ed economico, ma parallelamente finanziamo l’educazione, corsi di gestione sostenibile della terra o sulle tecniche agricole, per esempio,su come creare concimi dagli scarti domestici”, spiega il giovane italiano. “Lavoriamo anche con le associazioni e le ong locali: a molte manca solo una spinta motivazionale, ad altre sostegno legale. Noi mettiamo a disposizione le nostre competenze per aumentare il loro impatto”.
La sensibilizzazione – L’altra parte del lavoro della startup è la sensibilizzazione sulla crisi climatica attraverso i social o lezioni e progetti di alternanza scuola-lavoro. L’ultima idea è stata una call for artists: “Tutti sappiamo disegnare un albero, ma non ci hanno insegnato a raffigurarne di diversi tipi, come per le auto o le case, per una questione culturale. Così abbiamo chiesto a diversi artisti di “lasciare il segno con un albero”, cioè di raffigurare” una pianta in tanti modi diversi, che poi è stata effettivamente messa a dimora. “È una provocazione alle persone per far capire quanto poco conosciamo la natura e quanto, con un gesto piccolo si possa fare una grande differenza, per il clima”.