Confermata la sentenza emessa a luglio 2021 dalla Corte d'Appello di Palermo, dopo che la stessa Cassazione aveva annullato una precedente assoluzione ordinando un nuovo processo. L'accusa aveva definito l'imputato "il politico a disposizione dei Messina Denaro", accusandolo di aver "contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra, mettendo a disposizione dei boss le proprie risorse economiche e il proprio ruolo istituzionale"
La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti di Antonio D’Alì, trapanese ex senatore di Forza Italia e Nuovo centrodestra (per un totale di 24 anni a palazzo Madama) nonché sottosegretario all’Interno dal 2001 al 2006. Diventa così definitiva la sentenza emessa il 21 luglio del 2021 dalla Corte d’Appello di Palermo, dopo che la Cassazione aveva annullato una precedente assoluzione (datata settembre 2016) ordinando un nuovo processo di secondo grado. Confermata anche l’interdizione di tre anni dai pubblici uffici. L’ex politico è destinato a scontare la pena in carcere: i suoi avvocati fanno sapere che si costituirà a breve alle forze dell’ordine.
Nella requisitoria dell’appello bis, chiedendo la sua condanna a sette anni e quattro mesi, la sostituta procuratrice generale di Palermo Rita Fulantelli aveva definito l’imputato “il politico a disposizione dei Messina Denaro, prima del vecchio don Ciccio e poi del figlio Matteo, tuttora ricercato”. E lo aveva accusato di aver “contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra, mettendo a disposizione dei boss le proprie risorse economiche, e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di senatore della Repubblica e di sottosegretario di Stato”. L’ex parlamentare ha sempre respinto tutte le contestazioni. In una delle udienze dell’appello bis, un testimone dell’accusa aveva raccontato che tutto il cerchio magico di Messina Denaro era presente alla festa per la prima elezione al Senato di D’Alì, nel marzo 1994.
L’iter processuale è durato oltre 11 anni: la richiesta di rinvio a giudizio risale all’ottobre 2011. Il 14 giugno 2013 i pm palermitani avevano chiesto la condanna di D’Alì a sette anni e quattro mesi nel procedimento in rito abbreviatto: nel settembre successivo il gup lo aveva assolto per i fatti successivi al 1994 dichiarando prescritti quelli precedenti, sentenza confermata tre anni dopo in Corte d’Appello, fino all’annullamento disposto dalla Cassazione il 22 gennaio del 2018. Nel provvedimento la Suprema Corte scrisse che le motivazioni avevano “illogicamente e immotivatamente svalutato il sostegno elettorale di Cosa Nostra a D’Alì“. Il 9 agosto 2019 la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani gli aveva imposto l’obbligo di dimora in città per tre anni sostenendo la sua “pericolosità sociale”, misura poi revocata a inizio 2021 dalla Corte d’Appello.