“Posizioni ancora distanti” e qualche “moderato progresso”. La discussione sul price cap sul gas al Consiglio straordinario Energia si è conclusa dopo quasi otto ore di negoziati con un’ennesima fumata nera. La presidenza di turno Ue della Repubblica Ceca è impegnata a cercare una via per strappare in extremis l’intesa politica tra i due fronti contrapposti al Consiglio energia del 19 dicembre, ma sembra una missione impossibile. Il tempo sta per scadere, i nodi restano sul tavolo e il fallimento delle trattative rischia di far naufragare anche gli acquisti comuni e la semplificazione delle autorizzazioni per le energie rinnovabili. Un’impasse che scontenta Roma portando la premier Giorgia Meloni ad avvertire che “se le misure europee dovessero tardare o essere inefficaci” il governo è pronto “a intervenire a livello nazionale”. Che ci sia un ritardo a dire il vero è già sotto gli occhi di tutti, considerato che l’ex premier Mario Draghi ha iniziato a chiedere il “tetto” lo scorso marzo, 9 mesi fa.

La discussione è stata definita sin dall’inizio “difficile” da più parti. E che nel corso della giornata si è trasformata in una maratona negoziale intervallata da colloqui bilaterali e multilaterali per cercare di far quadrare il cerchio. Una mediazione portata avanti da Praga, che ha messo sul tavolo dei Ventisette la terza versione di compromesso nel giro di un mese, abbassando ulteriormente la soglia di attivazione del meccanismo di correzione dei prezzi sul mercato Ttf di Amsterdam: rispetto agli originari 275 euro a megawattora proposti da Bruxelles, nella bozza ulteriormente limata dai ministri a fine giornata l’asticella oscilla tra i 160 e i 220 euro al megawattora. Con il cap che verrebbe azionato al persistere dei picchi per un periodo di tempo compreso tra tre e cinque giorni. La soglia nel testo viene accompagnata anche da una seconda condizione per azionare il cap: lo spread con gli altri indici di riferimento globali dovrà essere di 35 euro, contro i 58 euro previsti da Bruxelles.

Lo sforzo però non è bastato a colmare le divergenze tra l’Italia, la Francia e l’altra decina di Paesi a favore del price cap, per i quali la misura non è ancora abbastanza efficace, e il fronte del no dei falchi nordici, capitanati da Germania e Paesi Bassi, che temono che il meccanismo metta a repentaglio le forniture per il prossimo inverno e la stabilità dei mercati finanziari. Superare la cortina di ferro non è semplice: “servirà più tempo”, ha tagliato corto la commissaria Ue per l’Energia, Kadri Simson. Ma se le misure dovessero tardare c’è già chi come Roma è pronto a fare da sé. A rischio è così la tenuta dell’unità europea, tanto che lo stesso ministro ceco a capo delle trattative, Jozef Sikela, per invitare tutti a serrare i ranghi ha preso in prestito le parole di uno dei fondatori dell’Ue, il cancelliere tedesco Konrad Adenauer: “Se tutti non collaborano, dovrebbero agire coloro che sono disposti a farlo”.

Una frase sibillina che lascia aperta la strada all’eventualità di un via libera al tetto a maggioranza qualificata – come previsto dai Trattati -, se raggiungere l’unanimità non sarà possibile. Prima però ci sono ancora due tempi da giocare: la palla passerà giovedì ai capi di Stato e di governo Ue riuniti a Bruxelles al vertice di fine anno. E poi per il miracolo di Natale i riflettori saranno tutti puntati sulla nuova riunione dei ministri dell’Energia il 19 dicembre.

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