Dice il ministro Carlo Nordio che lo scandalo corruzione a Bruxelles è “sicuramente un fatto allarmante” anche se lui “da autentico garantista” attende “l’esito delle indagini”. Certo, aggiunge subito dopo, “la flagranza del reato e il possesso di fondi enormi ingiustificati, affievolisce il caposaldo della presunzione di innocenza“. Insomma: nel caso delle mazzette che – secondo gli inquirenti belgi – sono state pagate dal Qatar a esponenti apicali del Parlamento Europeo, per il guardasigilli gli indizi a carico degli indagati sono talmente clamorosi da far cadere anche i condizionali. E in effetti ha ragione: perché un ex eurodeputato come Pier Antonio Panzeri teneva in casa denaro contante per circa mezzo milione di euro? E la vice presidente dell’Eurocamera, Eva Kaili, cosa doveva farci con 150mila euro nella sua abitazione? E ancora: perché il padre della politica greca andava in giro con 600mila euro in banconote da 20 e 50 custodite in un trolley?
Un ministro loquace – Tutte domande relative a indizi che la polizia federale belga ha raccolto nella sua indagine. E di cui l’opinione pubblica è venuta a conoscenza dopo che sono scattati gli interrogatori, gli arresti e le perquisizioni. Sono queste operazioni investigative che hanno portato ad accertare la flagranza del reato che “affievolisce il caposaldo della presunzione di innocenza“, per usare le stesse parole utilizzate da Nordio in un colloquio al Corriere della Sera. Si tratta della seconda intervista in 24 ore per quello che è ormai uno dei ministri più loquaci del governo di Giorgia Meloni. Appena domenica, infatti, l’ex pm è stato protagonista di un altro colloquio, questa volta col Messaggero, in cui si era nuovamente scagliato contro le intercettazioni telefoniche, promettendo pure di riformare l’avviso di garanzia.
Quali riforme – Il colloquio di Nordio con il quotidiano romano sembra quasi il secondo tempo del suo intervento in Parlamento, dove nei giorni scorsi il ministro ha illustrato le linee guida sulla giustizia e quindi, in pratica, le anticipazioni di quelle che saranno le sue riforme. A questo punto una domanda sarà sovvenuta al lettore: con le riforme annunciate da Nordio sarebbe più semplice o più complesso condurre un’inchiesta come il Qatargate? La risposta è probabilmente negativa, anche se occorre fare due puntualizzazioni. La prima è relativa al fatto che l’indagine sulle mazzette all’Europarlamento è portata avanti dalla procura federale di Bruxelles, che applica ovviamente il diritto penale del Belgio. La seconda è che le riforme di Nordio dovranno a un certo punto passare l’annuale valutazione della giustizia della Commissione europea. Prima, però, dovranno essere scritte e approvate.
Niente intercettazioni per i colletti bianchi – Fatte queste precisazioni occorre ora chiedersi che tipo di riforme indende varare il guardasigilli e in che modo le nuove norme potrebbero influire in indagini simili a quelle che hanno terremotato l’Eurocamera. Al momento, ovviamente, non esiste alcuna norma messa nero su bianco dal ministro. Esistono, però, le ormai numerosissime dichiarazioni rilasciate da Nordio. Già dalla campagna elettorale l’attuale inquilino di via Arenula si era espresso contro le intercettazioni telefoniche, definite troppo costose: per questo motivo vorrebbe limitarne l’uso “ai reati di grave allarme sociale“, visto che – secondo lui – “staticamente la gran parte riguarda reati che non hanno nulla a che vedere con mafia e terrorismo, sono costosissime e non servono a niente“. Non si sa bene quale sia la statistica citata dal ministro. Quello che invece appare chiaro è che Nordio pensa a una riforma che limita fortemente l’uso degli ascolti telefonici per i reati diversi dall’associazione mafiosa e per il terrorismo. Rimarrebbero dunque fuori i crimini contro la pubblica amministrazione, cioè i reati tipici dei colletti bianchi: esattamente quelli al centro dell’indagine del Qatargate.
Catapulte e criminali a 200 all’ora – Ma per quale motivo bisognerebbe limitare l’uso degli ascolti telefonici solo ai reati più gravi? “Crediamo davvero che il grande delinquente parli al telefono o a casa sua? Il criminale vero parte dal presupposto di esser intercettato anche in aperta campagna dai microfoni direzionali o da un trojan, e le sue affermazioni sono dirette a ingannare chi lo ascolta, a depistare le indagini o a calunniare terzi”, è la convinzione di Nordio. Eppure non si ha notizia di un fenomeno simile, cioè di indagati che – consapevoli di essere ascoltati – mentono volontariamente al telefono con l’obiettivo di depistare le indagini. Viceversa è noto come l’uso degli ascolti telefonici si sia rivelato fondamentale in centinaia d’inchieste. Non solo in Italia, ma pure in Belgio. Nel mandato di arresto europeo notificato a Maria Colleoni e Silvia Panzeri, moglie e figlia dell’ex eurodeputato del Pd, il giudice belga scrive chiaramente come le ipotesi di reato emergano dalla trascrizione di intercettazioni tra il politico e la consorte. “Senza intercettazioni, comprese quelle informatiche, è impossibile vincere la battaglia“, ha dichiarato spesso Michel Claise, il magistrato che indaga sulle euromazzette in Belgio. Paladino dell’anticorruzione, l’investigatore ha ricordato che grazie “alle captazioni telematiche sofisticate” è riuscito a smantellare una maxi rete di narcotrafficanti con 1.230 arresti e un sequestro di droga per 13 miliardi di euro. “Ma è stato un’eccezione. Noi siamo ancora equipaggiati con le catapulte e i nostri avversari sono criminali che corrono a 200 all’ora. Come possiamo vincere?”, ha avvertito. Già, come si può combattere l’illegalità se la politica pensa addirittura di limitare l’uso delle catapulte solo per contrastare alcuni tipi di criminali, che magari sono armati di bazooka?
La questione delle immunità – A tenere banco nel week end è stata soprattutto la differenza delle norme tra il Belgio e l’Italia relative all’immunità parlamentare, visto che a finire agli arresti è stata anche Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo in carica. In Belgio, infatti, gli eurodeputati stranieri non possono essere detenuti o sottoposti a procedimenti giudiziari a meno che non siano colti in flagranza di reato. Cosa che è evidentemente accaduta alla politica greca, trovata in possesso di denaro contante nella sua abitazione. Ed è qui che si annida la più grande differenza tra il diritto italiano e quello belga, che si rifà alla normativa comunitaria: è più stringente sul fronte dell’azione penale ma molto più permissivo sul fronte delle indagini, fondamentali per trovare gli elementi utili a chiedere il processo degli eletti. Un esempio? Se l’indagine sul Qatargate fosse avvenuta in Italia ci sarebbe voluta l’autorizzazione preventiva della Camera d’appartenza per intercettare, per perquisire e anche arrestare il deputato, a parte i casi in cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Chi terrebbe così tanto denaro contante in casa se fosse a conoscenza di una richiesta di perquisizione ai suoi danni, pendente al Parlamento? E chi parlerebbe di illeciti al telefono, consapevole di essere intercettato? “Questo, proprio alla luce della vicenda di Bruxelles, si dimostra un’anomalia. Da una parte non abbiamo le autorizzazioni per l’azione penale, che l’Italia ha tolto dal 1993, dall’altra sottoponiamo al vaglio preventivo delle Camere proprio quelle attività che dovrebbero consentire di raccogliere elementi per portare al processo. Questo è un elemento di incoerenza delle guarentigie parlamentari, che differenzia il nostro Paese dalle previsioni di altri Paesi dell’Unione e da quelle in uso presso il Parlamento Europeo di cui facciamo parte”, ha spiegato al ilfattoquotidiano.it il professor Paolo Passaglia, ordinario di Diritto comparato presso l’Università di Pisa.
Il Qatargate di cui nessuno sa nulla- L’altra differenza sostanziale tra Bruxelles e Roma, infatti, è che in Belgio non è possibile portare avanti l’azione penale, cioè il processo agli eurodeputati, senza l’autorizzazione del Parlamento. E’ la vecchia autorizzazione a procedere eliminata in Italia nel 1993. E chi voleva ristabilire l’immunità parlamentare, quella abrogata a causa di Tangentopoli? Esatto, proprio Nordio. In piena campagna elettorale, in un’altra intervista – questa volta al Quotidiano nazionale – il futuro guardasigilli aveva proposto di ripristinare l’immunità nella sua versione originaria, quella cioè che imponeva ai magistrati il divieto di indagare deputati e senatori senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. “Riconosco che andrebbe spiegata bene ai cittadini, affinché non sembri un privilegio di casta“, aveva detto l’ex pm. Non è chiaro se Nordio intenda rilanciare la proposta avanzata da candidato alla Camera anche adesso che fa il guardasigilli. Di sicuro non sarebbe poi così difficile spiegarlo ai cittadini: basterebbe dire loro che con una riforma simile, sommata alle leggi già esistenti e alle altre che vorrebbe far approvare Nordio, un caso di corruzione politica come il Qatargate in Italia non verrebbe mai scoperto.
Inchieste segrete – E anche se dovesse essere scoperto, non lo saprebbe mai nessuno. Un altro cavallo di battaglia del ministro della giustizia, infatti, è legato alla segretezza, non solo delle intercettazioni ma proprio delle indagini. Per questo ha spiegato di voler rivedere l’avviso di garanzia e il registro degli indagati, che “dovrebbe restare segretissimo e invece si è trasformato in un’automatica fonte di delegittimazione di una persona che non è nemmeno imputata”. In realtà, come è noto, l’avviso di garanzia è uno strumento che serve a garantire l’indagato, informandolo del compimento di un atto di indagine per il quale si rende necessaria la difesa tecnica e quindi la nomina di un avvocato difensore. L’impressione è che la maggioranza di centrodestra sul tema abbia opinioni simili a quelle di Enrico Costa, il deputato di Azione autore di un ordine del giorno appena approvato dal Parlamento: impegna il governo a monitorare gli atti con cui i procuratori della Repubblica autorizzano le conferenze stampa e i comunicati degli inquirenti. Un controllo che dovrà essere svolto dal governo dall’Ispettorato generale del ministero della Giustizia. In pratica l’odg interviene sul decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza, che ha posto dei limiti stringenti alle conferenze stampa dei pm, alla comunicazione di magistrati e investigatori e persino ai nomi in codice da dare alle indagini. Ora Costa vuole che il ministero della Giustizia controlli ogni autorizzazione data dai procuratori: non solo a livello di numero ma anche dal punto di vista del contenuto. In pratica sarà il governo a valutare, caso per caso, l’eventuale interesse pubblico delle dichiarazioni e delle informazioni rilasciate dagli inquirenti sulle inchieste in corso: una forma di pressione Nel caso del Qatargate solo grazie a un dettagliato comunicato della procura si è avuta contezza delle perquisizioni degli europarlamentari, degli arresti e delle accuse. Ed è solo per questo motivo che la politica ha cominciato a prendere alcuni provvedimenti, come quelli assunti dal partito socialista europeo, colpito al cuore dalle indagini. Se dovessero diventare realtà le proposte di Nordio e le idee di Costa, invece, oggi scriveremmo di una vicepresidente del Parlamento europeo irreperibile: forse già agli arresti, ma non essendo ancora condannata, nessuno avrebbe potuto saperlo.