La pandemia e la guerra hanno fatto uscire allo scoperto qualcosa che sembrava finito nell’archivio delle rimozioni collettive degli italiani privilegiati. Eppure la povertà crea ancora ben poca empatia, basta ascoltare i tanti discorsi sul reddito di cittadinanza e sul salario minimo. Chi ne è lontano, continua sotto sotto a pensare che il povero in qualche modo se lo sia meritato, e che, alla fin fine, si tratti solo di abbassare un po’ il tenore di vita, permettersi di meno, comprare meno. Se poi il povero è anche un occupante abusivo di un alloggio, invoca un rispetto della legge come raramente per chi evade le tasse o sfrutta i dipendenti.

Non si pensa mai alla vita precaria delle persone costrette a vivere in un limbo senza diritti. Perché questa è la situazione creata dall’articolo 5 del decreto Renzi-Lupi del 2014: gli occupanti non possono avere l’iscrizione della residenza, con la conseguenza di non poter accedere a una serie di servizi basilari, dalla richiesta del medico di base alla possibilità di aprire un conto corrente, di poter essere regolarizzati dal punto di vista lavorativo, di potersi allacciare ai servizi pubblici essenziali come acqua, luce, gas, e soprattutto di poter fare domanda per una casa popolare.

Finora i divieti erano stati applicati senza eccezioni, nonostante un comma dello stesso decreto prevedesse che “in presenza di persone minorenni o meritevoli di tutela” il sindaco potesse dare disposizioni in deroga, a tutela delle condizioni igienico-sanitarie. Poi il 4 novembre scorso il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha emanato una direttiva in base a quel comma, derogando a quei divieti per le persone e le famiglie seguite dai servizi sociali, in condizioni di particolare vulnerabilità, in presenza di bambini, disabili, anziani, o con il reddito stabilito dalla legge regionale come requisito per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, oltre ai richiedenti asilo e alle persone in situazione di precarietà abitativa per le condizioni igienico sanitarie.

Un provvedimento che ha fatto discutere e che ha trovato la netta opposizione delle forze politiche del centrodestra ma anche del M5S capitolino, che ha evidenziato il rischio che tra gli occupanti ci possano essere anche i malavitosi che spesso spadroneggiano nelle occupazioni delle case popolari. E forse per questo la direttiva è stata anche oggetto di alcuni incontri dell’assessore alla Casa Tobia Zevi con il Prefetto, che ha chiesto chiarimenti, anche in vista della circolare che dovrà dare istruzioni agli uffici per l’applicazione delle nuove regole.

Come Carteinregola ci sentiamo tirati in ballo, perché la vicenda è legata al rispetto delle regole e al rapporto tra regole e diritti. Diciamo subito che noi pensiamo che le regole dell’umanità vengano prima delle regole della legge, che non si possa negare una vita sana e dignitosa, le cure mediche, le condizioni per aspirare a un lavoro regolare, soprattutto di avere una casa, a chi ha il solo torto di essere povero, soprattutto se si parla di disabili, bambini, anziani. Anche la legge prevede che rubare perché si ha fame sia un “esimente”, cioè, che non si possa essere perseguiti se si agisce per un reale e grave stato di bisogno.

Tuttavia le misure contenute nella direttiva devono a nostro avviso essere considerate parziali e transitorie, in attesa che vengano date risposte concrete alle situazioni di precarietà abitativa, e non solo degli occupanti senza titolo, ma di tutte le migliaia di persone che aspettano l’assegnazione di una casa popolare da anni.

A Roma si continua a chiamare “emergenza abitativa” quella che è ormai la normalità da molto tempo e che dovrebbe essere affrontata dalle Amministrazioni – Stato, Regione, Comune – con politiche della casa ad ampio raggio: avviando un piano pluriennale di nuove realizzazioni, tamponando con l’acquisizione i casi più urgenti e facendo periodiche verifiche sulla situazione patrimoniale degli inquilini delle case popolari per liberare gli alloggi da chi non ha diritto, e anche ponendo fine alle vendite degli appartamenti di edilizia pubblica in favore di chi può permettersi l’acquisto, parenti compresi, anziché assegnarle a chi è in graduatoria.

E non abbiamo condiviso la politica dei provvedimenti adottati in passato dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma per destinare quote delle case disponibili a chi aveva occupato, provvedimenti che hanno introdotto di fatto una corsia preferenziale rispetto alle persone che, magari in condizioni assai più precarie e in possesso dei requisiti previsti dalla vigente normativa, sono in lista d’attesa da lungo tempo. E deve certamente essere avviato, insieme all’iscrizione anagrafica, l’approfondimento delle posizioni, distinguendo chi ha occupato perché in effettivo stato di bisogno da chi invece ha occupato per convenienza o magari è legato alla gestione parallela degli alloggi popolari organizzata dalla criminalità organizzata, come ci ricordano spesso le cronache della Capitale.

E’ chiaro che si tratta di un tema complesso, che va affrontato con più strumenti e con interventi sul breve e sul lungo periodo. Ma il diritto alla casa deve essere una priorità di chi governa Roma, e come tale deve entrare anche nel racconto pubblico della città, per chi si appella alle regole senza riuscire a vedere le conseguenze sulle persone, e su quelle più fragili.

Perché fortunatamente le regole non sono immutabili, cambiano insieme al mondo, soprattutto quelle così ingiuste.

Ne parliamo mercoledì 14 dicembre alle 18 sulla pagina Facebook di Carteinregola nel webinar GRANDE COME UNA CASA – quali diritti per gli occupanti – con Andrea Alzetta, Barbara Auleta, Tiziana Biolghini, Nella Converti, Francesca Danese, Enrico Puccini, Silvia Paoluzzi, Giuseppe Salmè, Giancarlo Storto, Yuri Trombetti, Tobia Zevi, Nonna Roma. Coordina Anna Maria Bianchi Missaglia

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