di Giuseppe Onufrio*

Ha fatto notizia in questi giorni la presa di posizione di alcune storiche associazioni ambientaliste come Wwf, Legambiente e Fondo Ambiente Italiano (Fai) sulla compatibilità tra sviluppo delle rinnovabili e paesaggio. La novità è certamente data dalla scesa in campo del Fai, decisione tutta da apprezzare perché pone in maniera moderna il tema della convivenza tra paesaggio – che in Italia è da sempre determinato, nel bene e nel male, dall’azione umana – e lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Che, per contrastare la crisi climatica, devono diventare la base energetica del presente e del futuro prossimo.

Sul tema dell’eolico anche Greenpeace Italia si è espressa con documenti congiunti con altre sigle ambientali. Risalgono addirittura al 2007 alcune nostre iniziative, dalla Sardegna alla Campania, a favore dell’eolico o per protestare contro il blocco delle autorizzazioni a questi impianti.

Una recente diversa presa di posizione sulla vicenda, passata forse un po’ sottotraccia sui media, è invece quella dell’Amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi che, durante un convegno sul paesaggio organizzato a fine ottobre dalla Fondazione Croce in Senato, ha stigmatizzato l’impatto paesaggistico delle fonti rinnovabili poiché, a causa della bassa densità energetica, richiedono molto spazio. Viene da chiedersi se Descalzi abbia mai fatto un’analisi simile dell’impatto di ciminiere, trivelle, infrastrutture petrolchimiche e rigassificatori di Eni sul paesaggio. O se abbia mai visto, anche per sbaglio, immagini di disastri climatici (causati principalmente dalle emissioni da fonti fossili) che, anche nel nostro Paese, ormai sempre più spesso colpiscono e colpiranno duramente paesaggi, territori e comunità.

Nei piani industriali di Eni, soluzioni reali alla crisi climatica come le rinnovabili hanno avuto e hanno anche oggi uno spazio strategico marginale. Del resto, fu un altro ad del Cane a sei zampe, Paolo Scaroni, a definire le rinnovabili come un investimento “da ubriachi”. Dunque, dietro l’artefatto scontro – in gran parte ideologico – tra rinnovabili e paesaggio, si nasconde anche la linea fossile di aziende come Eni evidentemente interessate a mantenere lo status quo il più a lungo possibile.

E non basta appellarsi all’efficienza e al risparmio energetico (seppur certamente fondamentali), come fa Tomaso Montanari sulle pagine del Fatto Quotidiano: sostituire le fossili è un’opera titanica e senza le rinnovabili non è possibile attuarla, se ne faccia una ragione. Decine e decine di attivisti di Greenpeace sono stati processati per azioni contro il carbone: se oggi si parla di chiudere le centrali alimentate con questa fonte fossile – guerra permettendo – è anche per le tante battaglie fatte e perché le alternative, come rinnovabili e batterie industriali, esistono. Se dunque facessimo sul serio con la transizione energetica come propone la confindustriale Elettricità Futura – che propone uno scenario basato sulle rinnovabili simile a quello di Greenpeace – potremo tagliare progressivamente il gas che importavamo dalla Russia.

Importazioni cresciute negli anni proprio grazie a Eni e a tutti i governi succedutisi nel corso del tempo e che hanno seguito senza batter ciglio la linea dettata dalla big nazionale dell’Oil & Gas. La stessa azienda che con una mano attaccava le rinnovabili e con l’altra aumentava la dipendenza dal gas russo e di cui oggi è costretta a cercare altri fornitori soprattutto in Paesi con ampi problemi democratici. Tutto per non investire in rinnovabili e per ostacolare chi intende invece farlo, dato che porterebbe via quote di mercato.

La sfida climatica invece richiede di fare sul serio la transizione energetica e, per farla, non c’è bisogno di “tappezzare l’Italia” di impianti eolici e fotovoltaici. La necessità di territorio è marginale, ma, certo, un po’ di impianti si vedranno. La sfida di una progettazione che li inserisca bene nei paesaggi “idonei” può però essere vinta, perché ne abbiamo le competenze. Il paesaggio è sempre cambiato e cambierà ancora comunque: la crisi climatica cambierà – e sta già cambiando – in peggio la faccia del nostro Paese e del pianeta.

Vanno dunque superate le posizioni di aziende e associazioni pseudo-ambientaliste che ostacolano la lotta all’emergenza climatica e vogliono farci restare alla canna del gas. Se non più russo, di qualche altro Paese che magari, per rifarsi l’immagine, si invischia in presunti tentativi di corruzione di rappresentanti delle istituzioni europee.

*Direttore Esecutivo di Greenpeace Italia

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