La ong Fight Impunity era “riconosciuta e finanziata dal Parlamento europeo“, ma poi “è saltato fuori che sarebbe una organizzazione criminale, che ha messo in campo iniziative di corruzione in nome e per conto del governo del Qatar e, sembrerebbe, del Marocco”. Le parole di Luca Visentini, segretario generale della confederazione internazionale dei sindacati, confermano quello che sta emergendo da Bruxelles: il sospetto degli inquirenti che indagano sul Qatargate è che gran parte dei soldi sequestrati – solo a casa di Eva Kaili sono stati trovati 750mila euro in contanti – servissero per corrompere altre persone. E, sempre stando alle accuse, al centro di tutto c’era appunto la ong Fight Impunity, presieduta dall’ex eurodeputato Pd Antonio Panzeri: a casa sua gli inquirenti nell’ultima perquisizione hanno sequestrato orologi e 17mila euro.

Antonio Panzeri e la vice presidente greca del Parlamento Ue Eva Kaili, così come il suo compagno Francesco Giorgi e il segretario generale della ong No Peace Without Justice Niccolò Figà-Talamanca, si trovano in carcere dopo che la giustizia belga ha convalidato i loro arresti domenica 11 dicembre. L’accusa è quella di partecipazione a organizzazioni criminali, riciclaggio e corruzione. Visentini invece, tra i primi fermati dalla polizia belga, è stato rilasciato (su condizioni). Il sindacalista 53enne in un’intervista a Repubblica si difende e spiega le ragioni del suo coinvolgimento: “Sono finito in questa indagine perché ho collaborato con questa fondazione, Fight Impunity”. “Da quel che si sapeva, si occupava della difesa dei diritti umani“, sottolinea Visentini. Che poi aggiunge: “Sono stato accusato di essere stato corrotto da loro, perché ammorbidissi le mie posizioni, e quelle del sindacato internazionale, nei confronti di questi Paesi. Ho fornito le informazioni necessarie alla magistratura e sulla base di questo sono stato rilasciato”.

Il ruolo di Fight Impunity – Le parole del sindacalista sembrano confermare la direzione verso la quale si sta rivolgendo l’inchiesta condotta da Michel Claise. Se fosse confermata l’ipotesi degli inquirenti, ovvero il ruolo della ong Fight Impunity da corrotto e corruttore, l’inchiesta si potrebbe ancora allargare. Secondo il sindacalista, “le indagini continueranno probabilmente ancora per anni, è un’organizzazione complessa, internazionale, che riguarda moltissimi Paesi”. La collaborazione proprio di Visentini e dell’Ituc, il sindaco mondiale che guida da fine novembre, potrebbe portare a una svolta. “La confederazione internazionale e quella europea non sono state minimamente coinvolte, neanche all’inizio. Le accuse riguardavano solo me, ma poi nel corso dell’indagine non sono neanche state trovate evidenze che io fossi in qualche modo collegato con questa vicenda”, sostiene Visentini, che dopo gli anni alla Uil, dal 2011 è stato prima segretario confederale e poi segretario generale della Etuc, la confederazione dei sindacati europei.

La difesa di Visentini – Il sindacalista Visentini è stato uno dei primi nomi coinvolti nell’inchiesta e dopo il fermo sono tornati alla mente alcuni suoi interventi recenti. Uno per esempio da nuovo segretario generale di Ituc, riportato sul numero del Qatar Tribune dello scorso 21 novembre. “La Coppa del Mondo di calcio è stata senza dubbio un’opportunità per accelerare il cambiamento e queste riforme possono costituire un buon esempio da estendere a tutti gli altri Paesi che in futuro ospiteranno eventi sportivi di questa portata – si legge nell’intervento attribuito a Visentini – Accogliamo con favore gli sforzi fatti e che devono essere sostenuti per preparare l’economia e la società del Qatar per le sfide future e per assicurare che la qualità delle condizioni di lavoro ricevano gli investimenti a lungo termine necessari”. Sembrano parole di sostegno a Doha, Visentini a Repubblica spiega: “Quello che ha convinto il giudice sulla mancanza di fondamento di queste accuse è invece proprio il fatto che le mie posizioni nei confronti del Qatar sono sempre state molto chiare. Ho detto per esempio che era positivo che avesse messo in campo alcune riforme, a cominciare dall’abolizione della Kafala, ma ho anche detto che non erano sufficienti, che rimanevano ancora problemi legati al rispetto dei diritti umani e all’implementazione delle riforme messe in campo”. “E in ogni caso la mia posizione non è mai stata influenzata da nessuno”, conclude il sindacalista.

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