Sono tre le persone indagate dalla procura di Taranto nella nuova inchiesta sui lavori per la messa in sicurezza degli impianti dell’ex Ilva. Nomi eccellenti nell’ambiente dei controllori ambientali che gettano imbarazzo su organi come l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale deputato dal Governo a controllare lo stato dei lavori nella fabbrica ionica. Nel registro degli indagati sono finiti il 59enne barese Vincenzo Campanaro, dal 15 luglio del 2019 direttore scientifico di Arpa Puglia, il 55enne romano Francesco Astorri, responsabile della Sezione per la valutazione e i controlli degli impianti di interesse strategico nazionale dell’Ispra, e il 67enne romano Mario Carmelo Cirillo, fino al 31 luglio del 2021 direttore del dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale di Ispra. Ai tre nei giorni scorsi è stata notificata la proroga delle indagini preliminari disposta dal gip Francesco Maccagnano, su richiesta del procuratore aggiunto Maurizio Carbone e del sostituto Maria Grazia Anastasia, che coordinano le attività dei carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Lecce: tentata concussione, falso e inquinamento ambientale sono i reati contestati al momento.

La nuova indagine sembra destinata ad accendere i riflettori sui lavori di adeguamento dello stabilimento tarantino a dieci anni di distanza dal sequestro dell’area a caldo firmato nel luglio del 2012 dal gip Patrizia Todisco. Un percorso di messa in sicurezza che secondo l’Ispra, procede senza particolari intoppi: dai controlli effettuati proprio dall’Ispra nel primo semestre del 2022, nel quale ci sarebbe stata la realizzazione di quasi tutti gli interventi programmati, tra cui quelli di riduzione delle emissioni convogliate e diffuse di polveri fini (in particolare provenienti dall’area a caldo, ossia area cokeria, agglomerato, altoforno e acciaieria), i lavori compiuti da Acciaierie d’Italia – la società partecipata dallo Stato, attraverso la controllata Invitalia, e la multinazionale ArcelorMittal – sarebbero stati eseguiti a regola d’arte.

A firmare l’ultimo rapporto di Ispra su quei lavori, però, è stato proprio l’ingegner Francesco Astorri, uno dei tre indagati. Per la procura, però, le cose stanno diversamente e non è una questione di poco conto dato che anche dalla qualità e dall’efficacia di quei lavori di ammodernamento dipende il dissequestro dell’area a caldo. La rimozione dei sigilli, anche se virtuali visto che la fabbrica opera grazie alla facoltà d’uso concessa dai decreti salva Ilva, è uno dei principali nodi della contesa tra Invitalia e ArcelorMittal. Senza dissequestro, infatti, l’accordo tra Stato e il socio privato per l’acquisto del complesso aziendale ex Ilva potrebbe non concludersi. Ma ottenerlo, al momento, non sembra un risultato semplice, anzi.

“Neppure l’adempimento completo dei lavori Aia rappresenterebbe condizione sufficiente per il dissequestro” ha infatti scritto poche settimane fa la Corte d’assise nelle 3700 pagine di motivazione a corredo della sentenza del maxi processo “Ambiente svenduto”. Confermando la richiesta di confisca avanzata dalla Procura, i giudici hanno spiegato che “ad avviso di questa Corte la descrizione dello stato attuale degli impianti, nonché dello stato dei lavori riguardanti il ‘Piano Ambientale AIA 2012’, per come è emersa da tutta l’istruttoria dibattimentale, non consente di ritenere in alcun modo superato il presupposto legittimante il sequestro preventivo, nel senso – specificano i magistrati – che attualmente lo stabilimento ancora produce emissioni che mettono in pericolo la salute pubblica, situazione che, è ragionevole presumere, non potrebbe essere evitata con la libera disponibilità” degli impianti.

Insomma se per Ispra i lavori procedono speditamente verso il termine previsto per agosto 2023, per la Corte al momento la salute di operai e tarantini è ancora a rischio. E neppure la realizzazione di tutte le misure bastano a garantire il dissequestro. E così, mentre Invitalia e ArcelorMittal cercano a fatica di trovare un accordo per l’utilizzo del tesoro da 1 miliardo di euro concesso da Mario Draghi con il Dl Aiuti bis, la nuova inchiesta della procura ionica potrebbe diventare il nuovo pomo della discordia complicando, di molto, il quadro.

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