Angelo Tartaglia, ingegnere nucleare e professore emerito di Fisica al Politecnico di Torino: "Questo mito può servire da alibi per non cambiare nulla nelle strutture di una economia profondamente insostenibile”. Ma è un successo o no? "La grande risonanza ha varie motivazioni. In primo luogo, l’esigenza dei laboratori di ricerca di assicurarsi gli ingentissimi finanziamenti pubblici necessari e che li spingono a ‘vendere’ bene i risultati conseguiti"
Tempi di realizzazione più lunghi rispetto a quelli cavalcati dal cambiamento climatico, ma anche difficoltà logistiche e di sostenibilità. Eppure il risultato dell’esperimento di fusione nucleare condotto dai ricercatori della National Ignition Facility, nel Lawrence Livermore National Laboratory, in California, è stato definito “storico”, una “rivoluzione mondiale”, perché è stata prodotta più energia di quella impiegata. È davvero così? Cambierà le vite di tutti o ci sono altre ragioni dietro tanto entusiasmo? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto ad Angelo Tartaglia, ingegnere nucleare e professore emerito di Fisica al Politecnico di Torino che, già a febbraio 2022, nel corso della diretta di presentazione di un numero di FQMillennium dedicato proprio al nucleare aveva commentato un altro risultato definito “storico”, quello ottenuto dal reattore europeo a fusione nucleare, il Joint European Torus che aveva raggiunto una produzione di energia pari a circa 59 Megajoule. E JET non è altro che la prova generale per il reattore Iter in costruzione nel Sud della Francia. Solo che per quest’ultimo si sperimenta la tecnica del confinamento magnetico, mentre in California è stata utilizzata quella del contenimento inerziale con i laser. In pratica, una sfera di deuterio e trizio, isotopi dell’idrogeno, è stata bombardata con 192 raggi laser e trasformata in plasma, simulando l’avvio della reazione nucleare di fusione che avviene nelle stelle.
Professore, sono stati generati circa 3,15 Megajoule (Mj) di energia utilizzando un impulso laser di poco più di 2 megajoule.
“Quando si usano i megajoule tutto fa più effetto, ma molti non sanno cosa siano i megajoule. Per intenderci, l’energia estratta nell’esperimento del Lawrence Livermore Laboratory ha prodotto circa 0,8 kWh (chilowattora, ndr) e, per fare un confronto, quella estratta al JET (Joint European Torus) era stata di circa 16 kWh. La novità è che l’energia prodotta in America è stata un po’ più di quella spesa”.
Diversi esperti sostengono che ci vorranno diversi decenni perché la fusione passi dalla fase sperimentale a quella commerciale, con reattori in grado di alimentare le città e questo sia per quanto riguarda il contenimento inerziale con i laser sia per la fusione a confinamento magnetico. Lei cosa ne pensa, si tratta di una ‘rivoluzione’?
“La ricerca è bene che continui, ma siamo molto lontani dall’applicazione pratica”.
È pur vero che ‘Roma non è stata costruita in un giorno’…..
“Il tracollo climatico, se non si riduce drasticamente il consumo di energia e, in particolare, quella da combustibili fossili, arriverà ben prima di qualsiasi concreto reattore a fusione. In compenso, però, il mito della fusione potrebbe servire da alibi per non cambiare nulla nelle strutture di una economia profondamente insostenibile, oltre che iniqua”.
Come spiega, allora, tutto questo entusiasmo rispetto al risultato raggiunto in California?
“La grande risonanza che viene data alla notizia ha varie motivazioni. In primo luogo, l’esigenza dei laboratori di ricerca di assicurarsi gli ingentissimi finanziamenti pubblici necessari e che li spingono a ‘vendere’ bene i risultati conseguiti (dietro il progetto c’è un un investimento di oltre 3,5 miliardi. Solo quest’anno, gli Usa hanno investito nel programma 600 milioni di dollari, ndr). Un’altra motivazione per dare grande eco a questa e altre notizie, è la competizione presente da decenni tra l’approccio europeo del confinamento magnetico e quello americano del confinamento inerziale. Una competizione che spinge sempre a cercare di dimostrare di essere i più bravi. Anche in Europa, negli anni Settanta, si era discusso dell’approccio laser, ma il confinamento magnetico è più coerente con quello degli acceleratori di particelle, in primo luogo il Cern di Ginevra, uno dei centri di ricerca più importanti al mondo nello studio delle particelle. Ma la grande risonanza è dovuta anche alla ricerca della fonte dell’infinita energia pulita (rilanciata anche questa volta dai titoli delle notizie di stampa) che finalmente consentirà di alimentare la crescita perpetua senza effetti collaterali.
A riguardo, Jill Hruby, sottosegretaria per la sicurezza nucleare, ha dichiarato che gli Usa hanno intrapreso “i primi passi verso una fonte di energia pulita che potrebbe rivoluzionare il mondo”. Lei ha più volte espresso la sua posizione, anche rispetto all’inclusione del nucleare nella Tassonomia dell’Unione europea, che ha definito “un suicidio”. Sappiamo che i reattori europei sono tutti a fissione. Ma le sue perplessità sulla definizione di “fonte di energia pulita” valgono anche per la fusione?
“I neutroni prodotti dalla fusione inducono radioattività nei materiali che li assorbono e, comunque, solo circa un terzo del calore prodotto dalla fusione diverrebbe energia elettrica, il resto dovrebbe essere smaltito nell’ambiente (come avviene in tutte le grandi centrali termiche). C’è poi anche il fatto che l’innocuo elio prodotto dalla fusione è oggi presente in atmosfera nella misura di circa 5 parti per milione (ppm). Tanto per capirci, per la CO2 sono oltre 400. Siamo sicuri che se si passasse alle decine di ppm le proprietà generali dell’atmosfera non ne risentirebbero? La fusione, poi, non è comunque una fonte illimitata. Il fattore limitante è il litio 6 da cui si ricaverebbe il tritio (che in natura non c’è, ma si trova in tracce, ndr) impiegato nella fusione insieme al deuterio (in natura c’è all’incirca un atomo di deuterio ogni 6400 di idrogeno, ndr). Il litio è molto meno abbondante del deuterio. Ma cosa non si farebbe per illudersi di cambiare tutto senza dover cambiare niente”.