Forse vi ricordate un vecchio sketch di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, “Il Troncio della Val Clavicola” (lo trovate facilmente sul web). Era la storia di un artigiano che produceva un singolo stuzzicadenti limando un intero tronco d’albero. E’ una storia che ha qualche punto in comune con il recente annuncio sulla fusione nucleare. Un’immensa macchina è riuscita a produrre un piccolo quantitativo di energia: uno stuzzicadenti da un tronco.

La fusione nucleare ha una lunga storia di grandi speranze e grandi delusioni. Nel 1954, il presidente della Commissione per l’Energia Atomica degli Stati Uniti, Lewis Strauss, se ne uscì con una frase infelice. Disse che un giorno l’energia da fusione nucleare sarebbe stata “così poco cara che non sarebbe valsa la pena di farla pagare agli utenti” (“too cheap to meter”). Quasi settanta anni dopo, la possiamo incorniciare come una delle peggiori previsioni della storia. L’energia da fusione nucleare non solo non è a buon mercato, non esiste proprio come energia pratica.

A differenza della fissione nucleare, che bene o male produce energia in condizioni controllate (e può anche fare grossi danni nella forma di un’arma), la fusione controllata è rimasta una di quelle illusioni all’orizzonte che si allontanano più cerchi di avvicinarti. Negli anni, molti metodi per ottenerla sono stati proposti, alcuni esotici, alcuni complicati, altre semplicemente degli imbrogli (tipo la “fusione fredda”). E tutti erano costosi. In un secolo di lavoro, nessuno è riuscito a trovare qualcosa che funzionasse in pratica.

E allora cos’è questo annuncio sulla “svolta storica” nella fusione nucleare arrivato in questi giorni dal Lawrence Livermore Laboratory? Ci viene detto che è la prima volta che un impianto sperimentale a fusione è riuscito a produrre più energia di quella necessaria per innescare la reazione. Diciamo che è parzialmente vero: lo è se consideriamo solo il bilancio energetico della fusione, ma non lo è più se teniamo conto delle varie inevitabili perdite di energia del sistema.

La “svolta storica” semplicemente non è una svolta. Non c’è nulla di nuovo nella tecnologia utilizzata: è sempre lo stesso “confinamento inerziale” ideato negli anni 1950. Da allora sono stati migliorati molti dettagli e sono state costruite apparecchiature più grandi e potenti. Ma siamo lontanissimi da utilizzi pratici. Gli stessi ricercatori del Lawrence Berkeley Laboratory parlano di “ancora 10 anni”. C’è chi dice 20 anni, e chi dice 50. Un buon esempio di quello che chiamiamo a volte “dare i numeri del lotto”.

Per inquadrare la situazione, immaginatevi una segheria che produce stuzzicadenti a partire da tronchi d’albero. Immaginatevi che dopo 70 anni di lavoro, questa segheria sia riuscita a finalmente a produrre uno stuzzicadenti a partire da un tronco di quercia intero. E’ un successo? Forse sì, ma forse l’approccio non è proprio quello giusto.

Purtroppo, però, la propaganda riesce a far diventare dei successi le cose più inutili. Si parla di scienza come se fosse uno spettacolo del circo (venite, signori, venite a vedere la donna con due teste!), e questo non solo nel campo dell’energia nucleare ma un po’ in tutti i campi, inclusa la medicina. Il problema è che la gente ci crede, e non si contano le persone che hanno preso seriamente l’annuncio sulla fusione. E non si contano le castronerie che si sono lette sulla stampa – non andiamo nei dettagli per carità di patria.

E’ sempre la stessa storia: la ricerca spasmodica di qualcosa che magicamente ci risolva i problemi e ci dia energia “tanto a buon mercato da non valer la pena di farla pagare”. Un bel sogno, ma i sogni non si avverano solo perché uno ci crede, come nel caso di Cenerentola. La fusione nucleare controllata è probabilmente il sogno energetico più improbabile fra quelli che possiamo sognare. E’ costosa e complessa, richiede grandi quantità di materiali rari e non è neanche vero che non produce scorie radioattive (come si è letto sui giornali). E, per finire, non è nemmeno vero che il combustibile per la fusione, idrogeno, è abbondante. Nelle versioni attuali, richiede un isotopo dell’idrogeno chiamato “trizio” che non si trova sulla terra e che va sintetizzato a partire da un isotopo del litio che non è per niente abbondante sulla terra.

Insomma, è una strada parecchio in salita se lo vediamo come un modo per produrre energia. Potrebbe invece avere applicazioni militari, ma è un’altra storia.

Allora, non è meglio contentarsi del reattore a fusione che abbiamo già, il Sole? Di energia ne produce in quantità largamente sufficiente per quello che ci serve e non dobbiamo nemmeno pagarla: arriva gratis dal cielo. Cosa possiamo chiedere di più? Andiamo avanti con l’energia solare e lasciamo perdere i sogni impossibili.

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