di Massimo Falchetta
La transizione energetica inizia ad entrare nel dibattito pubblico. Prendendo sul serio la cosa occorre azzerare il consumo di combustibili fossili entro il 2050 (cioè entro 28 anni); con una prima fase entro il 2030, fra 8 anni. Ma ora c’è anche un limite “hard”: lo stop imposto all’importazione di gas dalla Russia, per motivi bellici. Praticamente subito. Sostituire i fossili significa sostituirli con energia rinnovabile o nucleare.
La fissione nucleare in Italia è sostanzialmente interdetta da tempo, mentre è ancora lontana dalla fase commerciale la fusione. Rimangono le fonti rinnovabili (eolica e fotovoltaica) divenute commercialmente mature al punto da essere oggetto di forti investimenti da parte della finanza internazionale. I piani del governo parlano di circa 50 Gw di nuovi impianti (grosso modo: 3000 turbine eoliche alte 100 metri e 200 milioni di metri quadrati di pannelli fotovoltaici) e annesse linee elettriche e sistemi di accumulo, per un investimento valutabile fra 120 e 150 miliardi di euro. L’obiettivo al 2050 è ben superiore, tutto da sviluppare.
Diversamene da noi, in Germania la EnergieWende (Transizione Energetica) ha iniziato ad essere argomentata nel dibattito pubblico a partire dal 1980. Non tutto è oro ciò che luccica, infatti la Germania continua a utilizzare in maniera massiccia il carbone, con un piano ufficiale di “fuoriuscita dal carbone“ nel 2038, forse anticipata al 2030 nel Nord-Reno-Westfalia. Ciò che però sicuramente contraddistingue il dibattito europeo, ovvero extra-italiano, è una più seria e ampia presa in carico del problema. Per esempio, la tecnologia eolica. In Italia ha iniziato a essere studiata attivamente a partire dai primi anni ’80 dello scorso secolo, quasi in sordina. Già nel 1989 era chiaro, a chi approfondiva l’argomento, che l’impatto visivo sarebbe stato, più che gli aspetti economici, il fattore limitante nel caso di uno sviluppo massiccio, ovvero significativo e sostanziale. Infatti le turbine eoliche, essendo azionate dal vento, devono essere ben esposte; quindi visibili. E i territori più ventosi sono anche quelli più selvaggi, non antropizzati.
Non è un caso che, a partire dalla fine degli anni ’90, cioè da quando hanno iniziato a essere commerciali, in Italia le turbine eoliche siano state chiamate pale eoliche; termine scorretto che non ha un corrispettivo in altre lingue. Pala eolica denota “ciò che si vede”, appunto una pala (in realtà tre) che gira. Mentre per uno schieramento denota il simbolo di un nuovo rapporto con l’ambiente, per un altro disturba, o distrugge, la visione dell’ambiente, a terra e ora anche in mare. Parliamo di simboli potenti, siano essi positivi o negativi. Per esempio il critico d’arte Vittorio Sgarbi, famoso per le sue applaudite alzate di testa televisive, paragona le turbine eoliche a stupratori di bambini; in passato le paragonò anche a vanghe che violentano la terra.
Non solo. Il fotovoltaico è meno visibile, ma sarà necessariamente ben più pervasivo. Infatti per fortuna al sole si sta abbastanza bene e le nostre città e paesi e campagne sono ben soleggiate. Purtroppo anche i pannelli fotovoltaici che alimentano le luci dell’albero di natale a Piazza Venezia sono, secondo il sottosegretario alla Cultura, una forma di pornografia. Il sesso e la violenza sessuale sono, quindi, alla base dei giudizi di Sgarbi. Di questo passo, agli attacchi con zuppe o vernici ai quadri da parte dei più giovani eco-attivisti, i difensori estremi del paesaggio risponderanno forse con azioni altrettanto eclatanti.
Se non si inizia a introdurre un minimo di razionalità e maturità culturale nell’approccio, ciò che ci attende è uno scontro ideologico-simbolico fra ambientalismo globale progressista e ambientalismo estetico-locale conservatore. Rimane, ovviamente, anche la strada del dedicarsi ad argomenti più piacevoli avendo cura di spiegare al mondo che non sappiamo come eliminare il gas, che almeno aveva il vantaggio di essere invisibile.