Si è concluso con l’assoluzione, a cinque anni dai fatti contestati, il processo a carico del professore Pietro Salvatore Litta, 70 anni, ginecologo residente a Venezia, già direttore dell’Unità operativa di Chirurgia pelvica mininvasiva dell’Azienda ospedaliera di Padova. Era accusato di peculato e truffa aggravata ai danni dell’Università di Padova e dell’Azienda Ospedaliera, reati per i quali il pubblico ministero Silvia Golin aveva chiesto una condanna a 5 anni e 6 mesi di reclusione, con l’aggravante di aver abusato della qualifica di pubblico ufficiale. Il collegio presieduto da Nicoletta De Nardus ha accolto le tesi sostenute dall’avvocato difensore, il professore Alberto Berardi, assolvendo il medico, originario di Carosino (Taranto), perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto.
L’inchiesta giudiziaria aveva preso avvio da un servizio giornalistico del programma Petrolio che era andato in onda su Rai1 il 13 gennaio 2018 e che riguardava i quarant’anni di vita del servizio sanitario nazionale. Il ginecologo era stato ripreso con una telecamera nascosta durante un colloquio con la giornalista Francesca Biagiotti che si fingeva una paziente in attesa di un intervento di chiusura delle tube a scopo contraccettivo e che avrebbe voluto ridurre l’attesa per l’intervento. Si era fatta visitare nella clinica Città Giardino di Padova ed era stata sottoposta ad ecografia, pagando 250 euro in nero per la prestazione (assicurata in regime “intra moenia”), alla segretaria del medico. L’attività di Litta, che era stato ripreso con il volto oscurato, era stata poi passata al setaccio. Per questo ha dovuto difendersi da altre accuse. Innanzitutto di aver eseguito visite private, nonostante fosse scaduta la convenzione, nel febbraio 2017, tra la Clinica Città Giardino – dove visitava le pazienti in regime extramoenia – e l’Azienda ospedaliera padovana (dove prestava servizio). Un altro paio di contestazioni riguardavano una visita privata eseguita mentre si trovava in ferie ed altre cinque nell’orario di lavoro, quando avrebbe dovuto essere nell’ospedale pubblico. In un altro caso, stando alle accuse, l’imputato avrebbe fatto risultare una visita specialistica su una paziente (con onorario di 230 euro), anziché una isteroscopia diagnostica, il cui introito per l’Azienda ospedaliera sarebbe stato di 500 euro.
“Trovo offensivo sostenere che avrei avuto interesse ad intascare 250 euro in nero quando al Fisco ne dichiaro 450mila all’anno. – aveva detto durante un’udienza del processo – Quei soldi non li ho mai presi. Quando la giornalista li ha consegnati alla segretaria non ero lì e se fossi tornato a prenderli, visto che stavano filmando, mi avrebbero registrato. Inoltre, nessuno mi ha mai detto che la convenzione tra l’Azienda ospedaliera e la Clinica Città Giardino fosse scaduta e che non avrei più dovuto visitare nella struttura privata”. Dall’analisi della contabilità medica e amministrativa non erano emerse altre visite non fatturate. Il professor Berardi, dopo la sentenza, ha commentato: “Il processo è servito per dimostrare l’innocenza del mio assistito, che ha svolto il suo lavoro anche oltre l’orario prestabilito di 76 ore al mese, toccando in media le 170 ore. Di questo abbiamo prodotto ampia documentazione. Il peculato era stato contestato per i 250 euro e la pubblica accusa solo per questo reato aveva chiesto una condanna a 4 anni e 6 mesi”.
L’imputato ha dichiarato ai giornalisti: “Maledetto quel concorso, non dovevo partecipare e ho sofferto per cinque anni”. Si era candidato a ricoprire la cattedra di prima fascia di Ginecologia e Ostetricia. “Se non avessi partecipato non mi sarei trovato a processo. Quando si dà fastidio a qualcuno, succede anche questo. Spero non mi capiti mai più una situazione del genere, in quasi cinque anni ho sofferto moltissimo”.